Su suggerimento di Eugenio posto anche qui l'intervento che ho messo sul gruppo di Facebook.
Leggo gli interventi di qualche collega nei vari gruppi di FB sul tema lavoro per gli assistenti sociali e mi pongo qualche riflessione che vorrei condividere:
1) Quando il corso di studi era a numero chiuso ci fu una levata di scudi degli esclusi che rivendicavano il diritto allo studio per tutti indipendentemente o meno dalle possibilità di collocamento lavorativo. Ed è stato ottenuto.
2) Durante il corso di studi, almeno a Trieste dove ho studiato io, ci hanno imbottito la testa sull'importanza della nostra professione tanto che siamo tutti usciti dall'università pensando che il mondo intero fosse lì ad attenderci per salvarlo. Ci siamo presto resi conto che non è così.
3) Pensare che un organismo esterno debba lavorare per creare lavoro per gli assistenti sociali così, aprioristicamente e in modo autoreferenziale, creare posti di lavoro per fare lavorare, mi dà l'idea un po' di quello che è successo nel Sud Italia dove gli enti pubblici per anni hanno creato posti di lavoro mettendo gente a lavorare negli enti pubblici. Ma ce n'era bisogno? Mi pare una mentalità molto assistenzialistica e più da utente che da operatore.
4) Se non trova lavoro l'assistente sociale, non trova lavoro neanche il laureato in filosofia, in lettere, in matematica, forse ancora delle chance ce l'ha l'ingegnere, ma non trova lavoro neanche l'operaio generico, il ragioniere, e i nostri uffici ne sono pieni no? E' un momento estremamente difficile e il lavoro va riformato a partire dalla politica, dall'idea del lavoro, dalla sua regolamentazione, non da un'entità superiore che semplicemente crei posti di lavoro.
5) Imperversare lamentandosi e sparando a zero su chi studia, chi cerca, chi trova, che significato ha? E' vero, si sa è difficile, lo sanno tutti, e se qualcuno lavorerà si renderà conto di quanto è difficile davvero per tutti non solo per gli assistenti sociali.
6) Fare quello per cui si è studiato è un desiderio legittimo che tutti hanno anche il laureato in filosofia. Se non è possibile bisogna necessariamente ripensare a quello che si può fare perché Oh Mio Dio che rivelazione: il mondo non è lì ad attenderci bramoso che lo salviamo!
Scusate se sono stata inopportuna ma volevo solo indurre ad una riflessione a più ampio raggio perché uscite estemporanee e senza costrutto penso siano disturbanti più che utili.
Gli assistenti sociali cercano lavoro
Re: Gli assistenti sociali cercano lavoro
Ciao a tutti. Anche qui, come in facebook, sottoscrivo e condivido in pieno la riflessione della collega, soprattutto perchè anche io continuo a leggere tanti interventi veramente poco costruttivi , a tratti denigratori (ma noi AS siam bravissimi a darci la zappa sui piedi e poi pretendiamo di essere credibili) nei confronti di tematiche generali (politiche sociali, apertura manicomi, etc) ma anche per quanto riguarda la ricerca occupazionale. Spiace leggere tanti post di colleghi, non solo studenti,che sconsigliano la professione o che la denigrano per le scarse o scoraggianti opportunità di lavoro.
A mio modesto avviso è comprensibile lo sconforto ma siamo dinanzi a dinamiche, come sottolineava Monica,che condizionano l'intero mondo del lavoro e in questo noi assistenti sociali incontriamo ogni giorno le stesse difficoltà che incontra ogni singolo cittadino nel ricercare un'occupazione. Nel nostro caso -è vero- sono, per una parte, connesse a scelte politiche, diverse allocazioni di risorse economiche, dratistici tagli sul sociale, etc. ma è proprio per questo che è il nostro modo di cercare lavoro e di proporsi come assistente sociale che deve mutare. Insomma se aspettiamo esclusivamente il posto fisso o statale o il posto canonico.. stiam freschi
Inoltre, sempre riguardo i post che citavamo io e Monica, io non mi sentirei mai di scoraggiare qualcuno a lottare per realizzare l'esercizio di una professione: non si tratta di fare o non fare, ma di essere un Qualcosa. Poi per carità, se da un lato, come Darwin insegna, non tutti posson fare tutto, dall'altra , c'è chi ci crede e persevera ... a cui OGGI è richiesto di diventare piu capace di crescere professionalmente, in senso verticale .. ma anche orizzontale, adattandosi alle nuove competenze richieste da fratture, sgiunture, buchi creati dal fallimento delle politiche di welfare e dalle nuove tecnologie dell'informazione di quesa attanagliante postmodernità, in cui , cavolo, non sei mai al passo.
Quindi non è che non comprendo lo sconforto, anzi ho vissuto sulla mia pelle tutte le difficoltà economiche, e non solo, connesse alla ricerca di un lavoro e di un "buon" lavoro , che per alcuni è il posto fisso o statale, per altri magari un lavoro meno "canonico" che porta soddisfazioni e sonni tranquilli (si è agito professionalmente e secondo il codice deontologico). Aggiungo infatti che è sacrosanto ricercare, con autorevolezza, riconoscimento economico per il nostro operato, ma anche quella impagabile serenità interiore a volte intaccata dalle ingerenze di altri, dai plurimandati, dalle esiguità di risorse..etc.
Insomma trovo sia davvero una bella sfida scommettere su noi stessi come professionisti in tempi di crisi, non vendendoci come meri erogatori di servizi, aprendoci di più alla ricerca di senso dei fenomeni che osserviamo e su cui andiamo ad intervenire con risposte preconfezionate, pensate da altri ..sociologi, psicologici , politici.
Magari non è pertinente, ma concludo dicendovi un pò di me: dopo qualche anno di lavoro a tempo pieno ed indeterminato in servizi sociali comunali e qualche mese in struttura protetta, per motivi personali e di salute dei miei cari, non potendo procedere con richiesta part time (ente aveva già probl) ho cercato, in prestezza viste le urgenze, diverse soluzioni occupazionali che bilanciassero bene quei fattori suddetti...
Da circa un mese, scartando l'aspettativa senza assegni perchè ho mutui, bimba etc, ho accettato una piccola sfida, dimettendomi dal pubblico. E non è che mi sia costato poco, ma son serena. E' bene valutare cosa sia di prestigio, cosa no. Ma è una valutazione assolutamente personale.
Attraverso una cooperativa sociale, ora seguo come assistente sociale un progetto di segretariato sociale in un piccolissimo comune (che avrebbre l'ass soc a poche ore settimanali). E' un vestito cucito su di me, sulle mie capacità acquisite e sul mio potenziale . In quel comune sono e faccio l' Assistente Sociale, ma in più , come sportello di segretariato seguo tutto quello che le Amministrazioni chiamano il "sociale" e che portano a prendersi in carico la persona, la famiglia a 360°: coordinare il sad, org il trasporti, pubblica istruzione, rilevazioni per piani di Zona, gestione dei rapporti con Ulss, associazioni e sindacati, contributi, Ater, filo diretto con Consiglio e Giunta per incontri, eventi , e molto altro. E per esperienza, questo è un ruolo d prassi LASCIATO ad amministrativi factotum (con buone competenze relazionali) dei piccoli comuni che collaborano con gli ass. sociali. Nessuno mi ha spiegato prima di questo mese quello che dovevo fare.. ma credetemi non sono stata nemmeno un minuto ferma
Non credo che riprenderci questi spazi, allargando le nostre competenze, sia da demonizzare. Basta proporsi, reinventarsi un pò. I RUOLI NON SONO STATICI; IMMUTABILI..E ASPETTARCI SOLO IL LAVORO FISSO..MAGARI TRAMITE CONCORSO, ecco...CREDO SIA RIDUTTIVO..
Gabry
A mio modesto avviso è comprensibile lo sconforto ma siamo dinanzi a dinamiche, come sottolineava Monica,che condizionano l'intero mondo del lavoro e in questo noi assistenti sociali incontriamo ogni giorno le stesse difficoltà che incontra ogni singolo cittadino nel ricercare un'occupazione. Nel nostro caso -è vero- sono, per una parte, connesse a scelte politiche, diverse allocazioni di risorse economiche, dratistici tagli sul sociale, etc. ma è proprio per questo che è il nostro modo di cercare lavoro e di proporsi come assistente sociale che deve mutare. Insomma se aspettiamo esclusivamente il posto fisso o statale o il posto canonico.. stiam freschi

Inoltre, sempre riguardo i post che citavamo io e Monica, io non mi sentirei mai di scoraggiare qualcuno a lottare per realizzare l'esercizio di una professione: non si tratta di fare o non fare, ma di essere un Qualcosa. Poi per carità, se da un lato, come Darwin insegna, non tutti posson fare tutto, dall'altra , c'è chi ci crede e persevera ... a cui OGGI è richiesto di diventare piu capace di crescere professionalmente, in senso verticale .. ma anche orizzontale, adattandosi alle nuove competenze richieste da fratture, sgiunture, buchi creati dal fallimento delle politiche di welfare e dalle nuove tecnologie dell'informazione di quesa attanagliante postmodernità, in cui , cavolo, non sei mai al passo.
Quindi non è che non comprendo lo sconforto, anzi ho vissuto sulla mia pelle tutte le difficoltà economiche, e non solo, connesse alla ricerca di un lavoro e di un "buon" lavoro , che per alcuni è il posto fisso o statale, per altri magari un lavoro meno "canonico" che porta soddisfazioni e sonni tranquilli (si è agito professionalmente e secondo il codice deontologico). Aggiungo infatti che è sacrosanto ricercare, con autorevolezza, riconoscimento economico per il nostro operato, ma anche quella impagabile serenità interiore a volte intaccata dalle ingerenze di altri, dai plurimandati, dalle esiguità di risorse..etc.
Insomma trovo sia davvero una bella sfida scommettere su noi stessi come professionisti in tempi di crisi, non vendendoci come meri erogatori di servizi, aprendoci di più alla ricerca di senso dei fenomeni che osserviamo e su cui andiamo ad intervenire con risposte preconfezionate, pensate da altri ..sociologi, psicologici , politici.
Magari non è pertinente, ma concludo dicendovi un pò di me: dopo qualche anno di lavoro a tempo pieno ed indeterminato in servizi sociali comunali e qualche mese in struttura protetta, per motivi personali e di salute dei miei cari, non potendo procedere con richiesta part time (ente aveva già probl) ho cercato, in prestezza viste le urgenze, diverse soluzioni occupazionali che bilanciassero bene quei fattori suddetti...
Da circa un mese, scartando l'aspettativa senza assegni perchè ho mutui, bimba etc, ho accettato una piccola sfida, dimettendomi dal pubblico. E non è che mi sia costato poco, ma son serena. E' bene valutare cosa sia di prestigio, cosa no. Ma è una valutazione assolutamente personale.
Attraverso una cooperativa sociale, ora seguo come assistente sociale un progetto di segretariato sociale in un piccolissimo comune (che avrebbre l'ass soc a poche ore settimanali). E' un vestito cucito su di me, sulle mie capacità acquisite e sul mio potenziale . In quel comune sono e faccio l' Assistente Sociale, ma in più , come sportello di segretariato seguo tutto quello che le Amministrazioni chiamano il "sociale" e che portano a prendersi in carico la persona, la famiglia a 360°: coordinare il sad, org il trasporti, pubblica istruzione, rilevazioni per piani di Zona, gestione dei rapporti con Ulss, associazioni e sindacati, contributi, Ater, filo diretto con Consiglio e Giunta per incontri, eventi , e molto altro. E per esperienza, questo è un ruolo d prassi LASCIATO ad amministrativi factotum (con buone competenze relazionali) dei piccoli comuni che collaborano con gli ass. sociali. Nessuno mi ha spiegato prima di questo mese quello che dovevo fare.. ma credetemi non sono stata nemmeno un minuto ferma

Gabry
Ultima modifica di Gabry il lun, 25 giu 2012 - 11:32 am, modificato 1 volta in totale.
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Re: Gli assistenti sociali cercano lavoro
Se posso dire la mia:
occorre fare un "salto di qualità" da parte della professione.
Se una volta il lavoro era il "posto pubblico", ciò non esiste più. Nel nostro campo, in cui il legislatore da anni ha fatto la scelta di allocare i servizi al di fuori del pubblico, ciò è una realtà consolidata. Sono passati 12 anni dalla Legge-quadro.....
Perchè c'è questo disorientamento nei giovani colleghi? A mio modo di vedere perchè all'università si insiste ancora sulla costruzione di un "modello pubblico": l'assistente sociale che rappresenta un ente ed eroga (o nega) certi benefit, ciò a seconda dei venti politici. Quanto ciò logori chi ci lavora lo sappiamo bene. Ce lo diciamo una volta per tutte, cioè che chi ha il "posto fisso" tanto bene non sta?
La questione non è "lavoro si o lavoro no" ma pure "che tipo di lavoro". Se dobbiamo uscire fuori dal vestito del "pubblico dipendente" dobbiamo riconquistare tanti ambiti che nel frattempo abbiamo lasciato ad altri. La questione non è lavoro=stipendio, ma lavoro=sviluppo personale=impresa=guadagno.
Come dice un detto buddista: "il ramoscello che cade nel fiume non riesce ad opporsi alla corrente; conviene invece seguirla, probabilmente arriverà allo stesso traguardo, ma con meno fatica". Traduco: se occorre seguire il trend del mercato del lavoro, sappiamo guardare a tutte le possibilità che questo offre, e non solo a quelle con l'etichetta "assistente sociale".
Se tale etichetta la troviamo (ancora) solo nel pubblico, ciò non vuol dire che non ci sono altri spazi. Nelle organizzazioni private prima si "entra", poi standoci traduciamo il nostro set di abilità in competenze forse utili all'organizzazione. La strada è quella!
Per non parlare dell'autoimprenditoria. Ci sono tante nicchie che possono trovar un collega disposto a buttarsi. Idem tutta la questione cooperativistica e degli enti religiosi: possibile che all'estero sono pieni di aass e qui da noi no?
Inoltre richiamo il bisogno di "saper cercare" lavoro. Lo scorso anno in un corso con colleghi ho affrontato proprio questi aspetti: ma sai scrivere un curriculum? ma sai cercare selezionando bene le offerte? ma sai essere vincente in un colloquio di lavoro? Anche la strategia è importante, non basta inviare migliaia di curricula e poi meravigliarsi della non risposta. Noi dovremmo tra l'altro facilitare l'attivazione delle persone nel mondo del lavoro, perchè con noi stessi non ci riusciamo?
Qualcuno parlava dell'occupazione "orizzontale". Che significa: "finquando non trovo lavoro come as, faccio altro". E' giustissimo, ma non è un ripiego: si tratta di "stare" nel lavoro e di utilizzare alcune aree delle nostre competenze di direzione di uno sviluppo sicuro. Che colleghi si mettano a fare gli operatori o gli oss a me pare utile, perchè "entrano" nel mondo del lavoro, lo capiscono ed un domani, da as, ci staranno meglio.
Concludo. Non vorrei sembrar saccente, i tempi sono duri per tutti, ma sappiamo anche "guardare oltre". Un professionista si differenzia se tratta un problema "lamentandosi" oppure "cercando soluzioni".
La "crisi" non è solo depressione, è pure occasione di sviluppo, crescita. Se la disoccupazione dei giovani colleghi costringe a lasciare il vecchio vestito di "dipendente pubblico", io ne sono contentissimo. La crisi dà opportunità: sta a noi coglierle. Paradossalmente la "crisi sociale" è un'occasione in cui noi aass possiamo fare business: la gente ha un grande bisogno di essere orientata.
Siamo imprenditori di noi stessi. Non facciamo dipendere il nostro benessere dal politico, dal deficit pubblico o dalla "zavorra culturale" regalataci (a pagamento....) dall'università. Se è necessario, facciamo la valigia e partiamo: si va dove c'è il pane, questo da solo a casa non ci arriva.
Sappiamo creare impresa: su questo portale da anni ci stiamo ragionando, leggete quà:
servizio-sociale-e-libera-professione-v ... tml#p17053
Saluti.
occorre fare un "salto di qualità" da parte della professione.
Se una volta il lavoro era il "posto pubblico", ciò non esiste più. Nel nostro campo, in cui il legislatore da anni ha fatto la scelta di allocare i servizi al di fuori del pubblico, ciò è una realtà consolidata. Sono passati 12 anni dalla Legge-quadro.....
Perchè c'è questo disorientamento nei giovani colleghi? A mio modo di vedere perchè all'università si insiste ancora sulla costruzione di un "modello pubblico": l'assistente sociale che rappresenta un ente ed eroga (o nega) certi benefit, ciò a seconda dei venti politici. Quanto ciò logori chi ci lavora lo sappiamo bene. Ce lo diciamo una volta per tutte, cioè che chi ha il "posto fisso" tanto bene non sta?
La questione non è "lavoro si o lavoro no" ma pure "che tipo di lavoro". Se dobbiamo uscire fuori dal vestito del "pubblico dipendente" dobbiamo riconquistare tanti ambiti che nel frattempo abbiamo lasciato ad altri. La questione non è lavoro=stipendio, ma lavoro=sviluppo personale=impresa=guadagno.
Come dice un detto buddista: "il ramoscello che cade nel fiume non riesce ad opporsi alla corrente; conviene invece seguirla, probabilmente arriverà allo stesso traguardo, ma con meno fatica". Traduco: se occorre seguire il trend del mercato del lavoro, sappiamo guardare a tutte le possibilità che questo offre, e non solo a quelle con l'etichetta "assistente sociale".
Se tale etichetta la troviamo (ancora) solo nel pubblico, ciò non vuol dire che non ci sono altri spazi. Nelle organizzazioni private prima si "entra", poi standoci traduciamo il nostro set di abilità in competenze forse utili all'organizzazione. La strada è quella!
Per non parlare dell'autoimprenditoria. Ci sono tante nicchie che possono trovar un collega disposto a buttarsi. Idem tutta la questione cooperativistica e degli enti religiosi: possibile che all'estero sono pieni di aass e qui da noi no?
Inoltre richiamo il bisogno di "saper cercare" lavoro. Lo scorso anno in un corso con colleghi ho affrontato proprio questi aspetti: ma sai scrivere un curriculum? ma sai cercare selezionando bene le offerte? ma sai essere vincente in un colloquio di lavoro? Anche la strategia è importante, non basta inviare migliaia di curricula e poi meravigliarsi della non risposta. Noi dovremmo tra l'altro facilitare l'attivazione delle persone nel mondo del lavoro, perchè con noi stessi non ci riusciamo?
Qualcuno parlava dell'occupazione "orizzontale". Che significa: "finquando non trovo lavoro come as, faccio altro". E' giustissimo, ma non è un ripiego: si tratta di "stare" nel lavoro e di utilizzare alcune aree delle nostre competenze di direzione di uno sviluppo sicuro. Che colleghi si mettano a fare gli operatori o gli oss a me pare utile, perchè "entrano" nel mondo del lavoro, lo capiscono ed un domani, da as, ci staranno meglio.
Concludo. Non vorrei sembrar saccente, i tempi sono duri per tutti, ma sappiamo anche "guardare oltre". Un professionista si differenzia se tratta un problema "lamentandosi" oppure "cercando soluzioni".
La "crisi" non è solo depressione, è pure occasione di sviluppo, crescita. Se la disoccupazione dei giovani colleghi costringe a lasciare il vecchio vestito di "dipendente pubblico", io ne sono contentissimo. La crisi dà opportunità: sta a noi coglierle. Paradossalmente la "crisi sociale" è un'occasione in cui noi aass possiamo fare business: la gente ha un grande bisogno di essere orientata.
Siamo imprenditori di noi stessi. Non facciamo dipendere il nostro benessere dal politico, dal deficit pubblico o dalla "zavorra culturale" regalataci (a pagamento....) dall'università. Se è necessario, facciamo la valigia e partiamo: si va dove c'è il pane, questo da solo a casa non ci arriva.
Sappiamo creare impresa: su questo portale da anni ci stiamo ragionando, leggete quà:
servizio-sociale-e-libera-professione-v ... tml#p17053
Saluti.
Re: Gli assistenti sociali cercano lavoro
Ugo, concordo su tutto, il problema pero (scusate se mancano accenti, apostrofi o ci sono caratteri strani ma ho problemi con la tastiera e non mi riconosce determinati comandi) e che si ambisce solo al posto fisso, ed e comprensibile per Dio, sono io la prima a dire che per chi ce l ha e facile parlare, ma se quello non c e non si puo stare li fermi a piangersi addosso e a chiedere che un entita superiore cali dall alto IL posto di lavoro. Poi se si decide di darsi all autoimprenditorialita bisogna valutare bene cosa si va a fare se si vuole avere qualche possibilita di successo, proporsi come ho visto su FB come aiuto per leggere le leggi, dare informazioni sui servizi e indirizzare al servizio competente mi pare una cosa un po cosi, mi chiedo chi pagherebbe mai un assistente sociale privato per questo. Io dico che se non si trova lavoro come assistenti sociali bisognerebbe chiedersi in cosa si trova lavoro e dove. Se il mercato per gli assistenti sociali e saturo ma invece c e possibilita di lavorare come OSS, facciamo la formazione e lavoriamo come OSS, si entra nel settore, si conoscono i servizi e le persone e si fa un esperienza sicuramente utile, poi sicuramente dopo un po servira un coordinatore di OSS ed e un altro passo avanti. Se si vuole pensare alla libera professione bisogna valutare bene quale sia il mercato e cosa serve realmente, il target che si vuole andare a colpire. Oggi quello che serve proprio per la tendenza del pubblico a privatizzare sono i servizi che il pubblico non e in grado di dare, assistenza ad anziani, a disabili, badanti, trasporto, doposcuola per i bambini. Tutti servizi che vivono pesantemente i tagli al welfare statale e locale ma di cui c e molto bisogno, proviamo a reinventarci imprenditori e non solo missionari pieni di buone intenzioni ma che rifuggono come la peste il profitto o le analisi di mercato che vogliono fare solo l assistente sociale puro
- ugo.albano
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Re: Gli assistenti sociali cercano lavoro
Il cuore del discorso sta nell'ultima tua (bellissima!) frase:
".....proviamo a reinventarci imprenditori e non solo missionari pieni di buone intenzioni ma che rifuggono come la peste il profitto o le analisi di mercato, che vogliono fare solo l assistente sociale puro..."
Il problema è proprio questo: contaminarsi con altri saperi, con altre prassi, con orizzonti "nuovi". Essere aperti e con le giuste "antenne" non lo si impara sui libri, si tratta di prerogative personali. Ciò sia per chi cerca il primo lavoro, sia per chi, già dipendente, ha delle collaborazioni.
Il discorso che facciamo io e Monica NON DEVE appariore come un'offesa a chi è disoccupato, ma come un invito ad allargare gli orizzonti. E' la stessa operazione -credetemi, lo dico con cognizione di causa - che effettua il collega (spesso già dipendente) orientato all'autoimpresa.
Chi vuole essere più efficace nella ricerca del lavoro deve cogliere ciò come un aiuto: magari parlandoci con degli esempi ci capiamo meglio. L'obiettivo è "come - cambiando strategie personali - arrivo al lavoro"?
Se invece restiamo sul "piove, Governo ladro!", cioè sul lamento, non cambiamo alcunchè.
E' una questione di cambio di prospettiva nell'affrontare lo stesso problema. E' inoltre - mia opinione - il giusto modo per pensare "da professionisti".
Mi scuso per la mia assenza da Facebook, ma non sono iscritto e nè - per come funziona - mi interessa esserlo.
Aspettando reazioni, saluto.
".....proviamo a reinventarci imprenditori e non solo missionari pieni di buone intenzioni ma che rifuggono come la peste il profitto o le analisi di mercato, che vogliono fare solo l assistente sociale puro..."
Il problema è proprio questo: contaminarsi con altri saperi, con altre prassi, con orizzonti "nuovi". Essere aperti e con le giuste "antenne" non lo si impara sui libri, si tratta di prerogative personali. Ciò sia per chi cerca il primo lavoro, sia per chi, già dipendente, ha delle collaborazioni.
Il discorso che facciamo io e Monica NON DEVE appariore come un'offesa a chi è disoccupato, ma come un invito ad allargare gli orizzonti. E' la stessa operazione -credetemi, lo dico con cognizione di causa - che effettua il collega (spesso già dipendente) orientato all'autoimpresa.
Chi vuole essere più efficace nella ricerca del lavoro deve cogliere ciò come un aiuto: magari parlandoci con degli esempi ci capiamo meglio. L'obiettivo è "come - cambiando strategie personali - arrivo al lavoro"?
Se invece restiamo sul "piove, Governo ladro!", cioè sul lamento, non cambiamo alcunchè.
E' una questione di cambio di prospettiva nell'affrontare lo stesso problema. E' inoltre - mia opinione - il giusto modo per pensare "da professionisti".
Mi scuso per la mia assenza da Facebook, ma non sono iscritto e nè - per come funziona - mi interessa esserlo.
Aspettando reazioni, saluto.
Re: Gli assistenti sociali cercano lavoro
E poi io mi sentirei di dire anche un'altra cosa: ma siamo davvero così sicuri che il lavoro in comune rappresenti davvero quello che abbiamo in mente come assistente sociale? Vogliamo fare quello per cui abbiamo studiato, d'accordo, ma il lavoro nell'ente locale è davvero quello per cui abbiamo studiato? Ugo dice che molti colleghi che lavorano nel pubblico impiego non sono contenti, perché? Al di là del posto fisso, cosa non piace?
- ugo.albano
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Re: Gli assistenti sociali cercano lavoro
Eh, Monica cara, questo è un altro argomento: lavoro in dipendenza o lavoro autonomo.
Il lavoro in dipendenza comporta sempre un grande conflitto: mediare il sà professionale con quel che l'Amministrazione vuole. Per esempio, se io ho fatto un corso di counseling ed il Comune si aspetta che io faccia il passacarte, il problema viene a galla. La parola "dipendenza" fa già capire il limite dell'agire in una gerarchia, la quale può pure essere incompetente e politicizzata (o no?)
E' una situazione che spesso vedo nei giovani colleghi: alla fine delusi del posto fisso perchè, pur se con la "sicurezza", non fanno il lavoro che vorrebbero.
Ragazzi, non esiste il lavoro e basta. Va bene che a chi a fame pure un tozzo di pane sembra un lauto pasto e su ciò non ho nulla da dire, perchè tutti abbiamo bisogno di un posto al sole per campare.
C'è però modo e modo di "adattarsi": si va dalla proattività (perchè in un Comune si interagisce con gli altri, si fanno alleanze, bisogna però rispettare i limiti dell'Ente ed anche i "tempi lenti" del cambiamento) all'adattamento "passivo". Come dire: "io volevo fare counseling, mi fanno fare le carte e faccio solo quelle, fino al punto di rispondere con le carte quando la gente mi chiede consulenza".
Poi siamo diversi: c'è a chi piace la relazione e chi ama le carte. Io dico solo: che ognuno si cerchi il suo.
D'altra parte se gli Enti Pubblici sono BUROCRAZIA per definizione, perchè ci meravigliamo? Se non ci piace la burocrazia perchè cavolo facciamo concorsi ai Comuni?
Io credo che ognuno debba essere consapevole di se stesso, dei suoi limiti, ma anche dei suoi punti di forza. In base a ciò va poi effettuata la ricerca di lavoro.
Se, come di ci tu, Monica, l'ìEnte Locale non ci piace, ma perchè non cambio? Ma perchè non ci si propone altrove? Ma perchè non si sa leggere il mercato?
Il lavoro in dipendenza comporta sempre un grande conflitto: mediare il sà professionale con quel che l'Amministrazione vuole. Per esempio, se io ho fatto un corso di counseling ed il Comune si aspetta che io faccia il passacarte, il problema viene a galla. La parola "dipendenza" fa già capire il limite dell'agire in una gerarchia, la quale può pure essere incompetente e politicizzata (o no?)
E' una situazione che spesso vedo nei giovani colleghi: alla fine delusi del posto fisso perchè, pur se con la "sicurezza", non fanno il lavoro che vorrebbero.
Ragazzi, non esiste il lavoro e basta. Va bene che a chi a fame pure un tozzo di pane sembra un lauto pasto e su ciò non ho nulla da dire, perchè tutti abbiamo bisogno di un posto al sole per campare.
C'è però modo e modo di "adattarsi": si va dalla proattività (perchè in un Comune si interagisce con gli altri, si fanno alleanze, bisogna però rispettare i limiti dell'Ente ed anche i "tempi lenti" del cambiamento) all'adattamento "passivo". Come dire: "io volevo fare counseling, mi fanno fare le carte e faccio solo quelle, fino al punto di rispondere con le carte quando la gente mi chiede consulenza".
Poi siamo diversi: c'è a chi piace la relazione e chi ama le carte. Io dico solo: che ognuno si cerchi il suo.
D'altra parte se gli Enti Pubblici sono BUROCRAZIA per definizione, perchè ci meravigliamo? Se non ci piace la burocrazia perchè cavolo facciamo concorsi ai Comuni?
Io credo che ognuno debba essere consapevole di se stesso, dei suoi limiti, ma anche dei suoi punti di forza. In base a ciò va poi effettuata la ricerca di lavoro.
Se, come di ci tu, Monica, l'ìEnte Locale non ci piace, ma perchè non cambio? Ma perchè non ci si propone altrove? Ma perchè non si sa leggere il mercato?