Io credo che chi abbia un'esperienza nel lavoro dipendente (soprattutto nei Comuni) abbia una marcia in più. Però al tempo stesso una in meno. Chi ha lavorato per anni, seguendo sempre la solita logica..spesso non è in grado di guardare oltre..e risente di alcune resistenze mentali. Ovviamente questo non vale per tutti.. Così come non credo che i giovani (non dico appena laureati..) non possano proporsi come imprenditori del sociale.. Ci sono, secondo me, delle prerogative imprenscindibili che questi giovani devono avere.. (e che sono assai rare..) per potersi lanciare in una simile impresa..
Circa la mission di uno studio: credo che il problema non si risolva apprendendo altre competenze tipo quelle di un mediatore familiare. Certo, se sei anche un mediatore potrai "venderti" di più.. la fetta di mercato forse sarà più ampia.. Credo, però, che ci si debba concentrare sulle problematiche presenti oggi, sui fenomeni sociali attuali e ragionare su quelli..pensando a quale potrebbe essere il nostro ruolo per risolvere i nuovi problemi.. E questi problemi..sono nuovi.. e non c'è grande capacità di risposta da parte del sistema.. e credo che non serva neanche un bisness plan se già sai che potrai operare lì dove nessuno ancora sta operando.. Anche operare lì dove il servizio sociale pubblico non riesce a offrire una risposta..perchè troppo preso dalle urgenze..troppo in affanno.. poco propenso all'ascolto.. e tante disefficienze di cui molta gente non ne può più.. Non prendiamoci in giro: il lavoro di rete (il VERO lavoro di rete) e il potenziamento dell'empowerment sociale delle persone, dei gruppi e delle comunità è pura teoria per chi lavora nel sistema pubblico. Senza pensare all'attività di advocacy che spesso viene offerta da Associazioni.. che in realtà MANGIANO E BASTA.. di advocacy non c'è un bel NIENTE!
La "teoria" che ho riportato sembra avere una logica.. vedremo nella pratica..cosa accadrà..!
