A.A.A. lavorare come Assistente Sociale

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ugo.albano
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Re: A.A.A. lavorare come Assistente Sociale

Messaggio da ugo.albano »

Pallaspina e Davide, le vostre riflessioni sono interessanti.

Tento una sintesi: nel lavoro moderno siamo spinti ad una contaminazione professionale, ma resistono ancora i corporativismi. Insomma, se c'è una "crisi identitaria", questa ha a che fare con una forte tendenza alla devoluzione dei contenuti delle singole professioni.

E' un tema politico, come sapete, quello di abbattere i limiti per la libera concorrenza. D'altra parte la determinazione di determinate competenze in capo a certe professioni è pure garanzia di qualità. Sennò tutti fan tutto. In ciò la variabilità europea, per cui, posto che un titolo può circolare nell'UE, ciò richiederebbe un'omogeneizzazione dei sistemi formativi, che ancora non c'è.

Nel campo dei servizi alla persona - e su ciò non concordo con Davide - in Europa da tanto tempo esiste un sistema sussidiario di fatto, da noi no (ma si a parole....). In Italia il passaggio da un welfare pubblico ad uno privato E' GIA' REALTA' da anni. Se all'università non ve lo dicono, va beh, prendetene atto.

"Fissarsi sul posto pubblico" - e torno al quesito iniziale - vuol dire non leggere il mercato. Senza offesa per nessuno: se si vuol lavorare bisogna vedere il lavoro dov'è e a che condizioni.

Capisco l'amaro di chi ha lavorato nel privato in Italia, ma pure il pubblico è così, credetemi! Semmai il problema è il BASSO VALORE DEL LAVORO IN ITALIA.

Anche andare all'estero può essere una scelta, ma si va verso un sistema non "più sociale", ma a maggior "garanzia sul lavoro", il quale è pure figlio di un'economia più ricca.

Poi, va beh, chi vi parla anni fa per fare l'assistente sociale (vengo dal sud e conosco la fame) ha fatto i bagagli e se n'è andato all'estero.

Insomma, una cosa è il "posto fisso pubblico sotto casa", altra cosa è il "lavoro dove lo si trova come esperienza socializzante e di crescita".

Ripeto: sono tempi difficili, ma lamentarsi non serve a nulla, nè volere un welfare che non c'è (e non c'è mai stato, mi pare). E' importante guardarsi intorno ed adattarsi a quel che c'è concependolo come una partenza: nella vita esperienze fanno competenze, da cosa nasce cosa.

Evitiamo (come dice pallaspina) di ripetere le dinamiche assistenzialistiche. il detto "piove, Governo ladro" lasciamolo a chi non ha strumenti cognitivi per migliorarsi. Almeno noi cerchiamo di farlo.

Saluti.
Ugo Albano

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davide
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Re: A.A.A. lavorare come Assistente Sociale

Messaggio da davide »

no volevo dire altre due cosettine dopo gli ultimi interventi di pallaspina e di Ugo Albano.
io dico che tutto è dinamismo e una cosa non esclude l'altra.

però quello che mi sembra di capire, è fondamentale avere un atteggiamento.

cioè si dovrebbe quantomeno pensare che se le cose sono come sono... noi non possiamo puntare il dito e accusare solo "il sistema marcio" o il "problema là fuori".
noi siamo parte integrante. noi recitiamo un ruolo in questo sistema marcio.
cioè questo sistema si serve della nostra passività.
dipende dall'assistente sociale se la sua posizione è questa.... è una condizione che ha accumulato negli anni.

ma in generale, aldilà della crisi professionale, una fetta della torta come dice la gestalt, L' A.S è attore attivo del decadimento culturale e giovanile, del decadimento professionale, della crisi di questo paese in un macrolivello. in tutti i sensi.

penso sia importante non giudicare in maniera negativa per questo, assolutamente no, ma quanto meno se non cominciamo a metterla anche su questo piano, e accettare cosa c'è stato di sbagliato in questi anni, noi non possiamo sentirci attori CO-RESPONSABILI.

cioè mettiamo il disagio fuori di noi e accusiamo un ostacolo esterno.non possiamo influenzare la realtà. ecco che si arriva al punto che forze esterne ci impongono addiritura i leader di governo. ci decidono tutto praticamente e noi?dove siamo?

se c'è un ministro, se ci sono delle politiche sociali e dei corporativismi, se abbiamo una scarsa preparazione e l'università non è preparata a formarci e ci confinano già dall'inizio in questo ruolo è perchè noi e negli anni passati come sottolinea pallaspina il professionista assistente sociale non ha fatto abbastanza.

noi raccogliamo questa identità, ma per non ripetere il ciclo dobbiamo quantomeno riflettere e arrabbiarci e muoverci.rendere produttivo lo sfogo.

questo vuol dire non solo agire cercando di imparare a leggere il mercato come consiglia Albano, ma anche prendere il nostro sederino e tornare a frequentare un pò di più le piazze.

questo vale per chi parte all'estero o per chi rimane o per chi emigra.per qualunque scelta uno faccia, da disoccupato o da studente. vale per tutta la nostra carriera professionale. vale anche come capacità di essere cittadino, è anche questo che si dovrebbe insegnare con l'advocacy.

è un discorso politico..
inteso anche in maniera collettiva. se sentiamo che le cose stanno andando male, noi in professionisti cosa possiamo fare? non esiste che ci sono 30 anni di ministeri in politiche sociali o ci sono addetti ai lavori negli ordini che non pensano per noi o che aspettiamo la riforma o i il finanziamento.
siamo noi gli addetti ai lavori.

è un discorso personale..
inteso come realizzazione responsabile..e individuale. cioè io mi prendo la responsabilità della crisi occupazionale, quali sono le mie potenzialità. quali competenze mi servono?
se io mi preparo in statistica studio psicologia studio sociologia, ho più alternative di influenzare con il mio dinamismo la futura carriera e far pesare la mia posizione.
..ammesso che ad uno piaccia la statistica, se mi mettessi a studiare statistica multivariata, imparare ad usare pacchetti informatici, spss, divenire esperti in ricerche qualitative e questionari avrei più armi da spendere in un ente pubblico che si occupa di programmazione sociale? forse si e si migliorerebbe le capacità della professione..cioè se tutti alzassero la qualità del sapere, non andando contro gli psicologi, (l'invidia professionale crea povertà) noi stessi attireremo posizioni di mercato.

allora da assistente sociale esperto andrei all'università e proporrei un corso, per migliorare, per crescere.

insomma se noi scappiamo da questo ruolo...restiamo poveri culturalmente,
e se rifiutiamo il fatto che siamo attori corresponsabili che si impegano per una professionalità migliore, va a finire che la professionalità poi viene a cercarci, come forse sta facendo ora...

insomma quello che sta succedendo è forse anche uno specchio della nostra incapacità...del nostro atteggiamento italiano di guardare il nostro giardinetto..e la nostra posizioncina. con gli anni, con la mentalità dell'agire nel piccolo, abbiamo comunque contribuito a subire un decadimento di un settore della società come il welfare..

pallaspina, in un precedente intervento :) tu l'hai messo in un discorso di genere. è un'idea interessante, dicono che il prossimo secolo sia quello della donna, quindi speriamo in un rilancio allora.. ma io direi anche che in generale la crisi del ruolo dell'assistente sociale di oggi è in fondo il modo con cui abbiamo gli assistenti sociali di ieri hanno interpretato la professione in generale, cioè giocando al ribasso! dicendo non abbiamo bisogno della laurea..

se abbiamo frequentato un corso di laurea e possiamo ambire ad essere professionisti che partecipano ad un concorso.
lo dobbiamo pure a qualcuno che ha giocato al rialzo.
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Re: A.A.A. lavorare come Assistente Sociale

Messaggio da pallaspina »

Sí, io credo che la dinamica sia questa che tu dici... Come disse una volta, anni fa, una collega a un corso di aggiornamento, il problema é che l'a.s. ha sempre detto "questo non lo sappiamo fare, quest'altro non lo sappiamo fare"... Lo psicologo, invece, dice: "ovvio, questo io lo so fare!" e poi magari mica é vero :lol: Peró si propone e lo fa.... Questa é una cosa che io ho imparato tanto dal frequentare la facoltá di psicologia... Cioé, per esempio, un gruppo di studenti di psicologia che discute sul proprio futuro professionale (discussione che sto seguendo in questi giorni) non inveisce contro il "sistema" ma si attiva con forza per cercare di capire dove vanno le dinamiche di mercato e dove poter costruire una propria nicchia. Un professionista é alla fine responsabile di se stesso e il fatto che questa realizzazione sia piú o meno possibile dipende da lui... da come sa sfruttare i trend.... Esempio per lo psicologo: se nel mio territorio ci sono molti anziani, una specializzazione in stimolazione cognitiva mi puó aiutare tantissimo a propormi sul mercato (magari dovró girare ogni giorno 7 residenze per anziani, ma se vedo che questo é richiesto e mi puó piacere, non mi metto davvero a fare un master in psicologia clinica quando la figura dello psicologo clinico é satura...). Esempio per l'assistente sociale: se al momento attuale il privato sociale campa attraverso fondi europei, perché non farmi un master in fund-raising? Se lavoro in Comune mi servirá a poco (anzi, magari mi sfrutteranno gratis), se invece sono disoccupato non si sa mai che, se sono l'unico fund-raiser della mia provincia, non solo mi venga a cercare un consorzio di cooperative, ma magari un Comune stesso mi proponga un incarico di collaborazione... che non sará sicuro e remunerato come il famoso posto pubblico, ma sicuramente molto piú interessante, e magari aggiunto ad altre ore di consulenze per il terzo settore mi ci metto insieme uno stipendietto dignitoso... queste valutazioni, gli educatori e gli psicologi le fanno da anni....
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Re: A.A.A. lavorare come Assistente Sociale

Messaggio da ugo.albano »

Diciamo la stessa cosa, pallaspina: basta leggere il mercato e proporsi.

Io non credo che psicologi ed educatori lo sappiano fare meglio. E' che essendo disoccupati da anni, sono più abituati a farlo. I colleghi non sono abituati a ciò per via del "mercato pubblico", iniziano solo ora a farlo.

A me capita di dare dei pareri a colleghi sul curriculum: devo dire che quello dei giovani è molto meglio dei colleghi anziani: c'è una varietà interessante che il mercato del lavoro ponme oggi, a fronte dei colleghi vecchi, i quali spesso, da dopo lo studio, hanno un unico datore di lavoro.

E' che ci sono "gap di sistema". Ti faccio un esempio: noi siamo qui a discutere di massimi sistemi, se vai su questo portale agli altri post (esami di stato) vedi un pò il "livello" dell'università. Ahimè.

E' un pò come leggere su di un giornale un bell'articolo sugli alcolisti e, subito dopo, trovare la pubblicità della grappa.

Io dico sempre che, grazie a Dio, siamo diversi. C'è chi ama sperimenmtare e chi, al contrario, cerca l'inamovibilità. C'è chi vede i cambiamenti come occasione e chi li rifugge. C'è chi resta su di un sapere ortodosso, chi si contamina su altri pensieri. C'è chi capisce una provocazione, e chi s'offende.

Il bello del confronto è questo......
Ugo Albano

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Re: A.A.A. lavorare come Assistente Sociale

Messaggio da Nuvoletta »

Concordo con quanto dice Pallaspina rispetto all'atteggiamento che alle volte caratterizza l'assistente sociale. Nel mio servizio "scherzosamente" attribuiamo alle varie professioni la tendenza ad uno specifico disturbo psichico: lo psicologo quello "narcisistico" - so fare tutto, lo so fare meglio di tutti...- lo psichiatra quello paranoide , l'assistente sociale quello "depressivo" - non so fare, tutti meritano più di me, povera me tapina/o ecc.-. Un collega medico mi ricorda frequentemente la fortuna (per gli altri) di questa nostra tendenza "depressiva" -il bisogno degli altri è più importante del mio - perché in positivo ci porta a prenderci cura delle persone più difficili, emarginate, povere, rifiutate. Accettiamo di rimanere in prima linea spesso da soli - gli altri professionisti si guardano bene d'investire in questo campo- e presi da questo ci siamo occupati poco di altri settori e della libera professione che, gioco forza, dovrebbe essere rivolta ad una diversa fascia di popolazione perchè finalizzata al guadagno. Salvo alcuni settori (mediazione familiare, counselling ad es.) dove non a caso siamo in concorrenza con altre professioni , il nostro lavoro si rivolge prevalentemente alle fasce più deboli e povere della popolazione e con queste veniamo identificati. Ci occupiamo di persone che non possono pagarsi gli interventi e i servizi. E chi paga per loro? O il pubblico ( in modo diretto o delegato al privato sociale) o la “beneficienza” ovvero opere assistenziali quali “caritas” ecc. Anche per questo è più facile per il fisioterapista, il medico, lo psicologo aprire uno studio professionale.
Comunque perché tutto questo deve essere considerato un dis-valore? Se i valori di riferimento con cui guardiamo la nostra professione sono il guadagno, la carriera, il riconoscimento professionale, il potere, il successo (oggi valori molto in voga) allora effettivamente siamo una professione “sfigata”; ma se i valori di riferimento (ora non più tanto di moda e con loro noi) sono la solidarietà, lo spirito di servizio, la partecipazione, la condivisione, la ridistribuzione, allora siamo una professione veramente “in gamba” perché siamo rimasti tra gli ultimi a presidiare questi valori e certi settori. Certo ora non basta più.

Comunque, per fortuna, il livello "depressivo" è diversamente presente tra la categoria e negli anni molti colleghi si sono impegnati per la crescita della professione e hanno "giocato al rialzo" come ricorda Davide.
Voglio ricordare che ancora negli anni '80 la nostra formazione non era universitaria, il nostro titolo non aveva nessun riconoscimento, la nostra figura non era normata. Alcuni colleghi si sono impegnati e in meno di 15 anni abbiamo ottenuto: riconoscimento del titolo e della professione, istituzione dell'albo, passaggio della formazione a livello universitario, nascita delle prime lauree (vecchio ordinamento), istituzione della laurea specialistica/magistrale, riconoscimento della nostra funzione di tipo dirigenziale anche a livello contrattuale e poi non dimentichiamo la 328. A quel punto la comunità professionale si è un po' fermata. Forse abbiamo creduto che i riconoscimenti ottenuti erano sufficienti per un salto qualitativo e quantitativo della professione e dei servizi e abbiamo atteso di vederne i risultati . Oggi ci accorgiamo che non è stato così. La L. 328 di fatto è stata applicata solo parzialmente e in alcune regione non lo è stato per nulla. I servizi, in crescita fino agli anni '90, hanno visto un loro ridimensionamento e non si colgono prospettive inverse. Le posizioni apicali a cui aspiravamo, che avrebbero potuto non solo gratificarci professionalmente ma anche permetterci di influenzare le organizzazioni e le scelte, erano già occupate e non ci sono le condizione per ipotizzare loro aumento numerico. La laurea specialistica/magistrale inoltre non ci ha dato realmente degli strumenti per una funzione manageriale ed è stata un po’ un “buco nell’acqua”.
Credo però che la comunità professionale, a fronte della disillusione di certe aspettative, si sia rimessa in cammino anche se non tutti e non tutti allo stesso modo, come sempre. E una delle direzioni è proprio quello di aumentare ulteriormente la nostra preparazione/formazione. Ricordo il grosso sforzo rivolto a costruire un sistema per la formazione continua che, dove c’è stato l’impegno della comunità professionale, ha portato i colleghi, gli enti, gli Ordini a grossi investimenti e ha creato molte occasioni di confronto tra noi. C’è la proposta di una formazione di base a ciclo unico quinquennale che potrebbe ampliare le prospettive per un servizio sociale clinico e un miglioramento del livello di base dei professionisti (dovranno essere molto motivati quelli che si impegneranno 5 anni per poter fare un lavoro come il nostro).
Inoltre comincio a vedere colleghi che si stanno riattivando nel dibattito sulle politiche del welfere, professionisti che si interrogano e si stanno confrontando sui sistemi di intervento che per forza dovranno essere rivisti. In questo momento di crisi, seppure la maggioranza rimane confusa e disorientata come succede sempre nei momenti di cambiamento, ci sono colleghi che, per la prima volta dopo moltissimi anni, si stanno interrogando su alcuni elementi cardine della nostra professione finora inamovibili ( dipendenza dal pubblico, rifiuto del concetto di “clinica” e di “terapia”, formazione breve, utilizzo delle sole risorse dell’ente, funzione “cuscinetto” tra bisogno e politica ecc.).Erano anni che non sentivo più “movimento” nella nostra comunità e questo “rinascere” delle questioni “di fondo” mi piace.

Capisco però il “grido di dolore” che ci giunge dai giovani colleghi che si stanno trovando di fronte a un sistema pubblico in contrazione e un sistema privato saturo e non preparato al loro inserimento. E’ difficile per un giovane proporsi quale libero professionista o sfondare nel privato con qualche progetto innovativo soprattutto se formato per accedere ad una professione non clinica, pubblica e non manageriale. Non possiamo dirgli soltanto di arrangiarsi e di non essere choosy, ma noi più “vecchi” , esperi e integrati nella rete dei servizi dovremmo ragionare e mettere le basi per un nuovo sistema e una nuova professione che aumenti le possibilità di inserimento dei giovani colleghi, come qualcuno aveva fatto per noi. Poi possiamo anche chiedere delle competenze nuove,invitare i giovani colleghi a studiare e a formarsi, ma su cosa e verso dove dobbiamo indicarlo noi. Diversamente rispecchieremmo la nostra “vecchia” società che, presasi tutte le risorse e tutte le posizioni tenendo fermo e rigido il sistema, dice ai giovani: arrangiati, datti da fare, non essere schizzinoso, vai da un’altra parte (estero).
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Re: A.A.A. lavorare come Assistente Sociale

Messaggio da lelap88 »

Per fortuna ci sono ancora professionisti come te, Nuvoletta, che non considerano i ragazzi che si affacciano al mondo del lavoro dei bambini viziati e incapaci... Sono pienamente d'accordo con quanto dici, è facile dire ai neoassistenti sociali buttatevi nel mondo nel mercato, inventatevi un lavoro, fate i liberi professionisti... guarda caso tutti i freelance che ci sono in giro sono ex dipendenti pubblici con anni e anni di esperienza! Temo profondamente che oggi l'unico modo per lavorare nel sociale sia farsi sfruttare dalle cooperative fino a quando ne hanno bisogno o vincere un concorso, sinceramente non vedo vie di mezzo.
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Re: A.A.A. lavorare come Assistente Sociale

Messaggio da davide »

Nuvoletta, permettimi..a parer mio il tuo intervento è da applauso. un sunto perfetto...da scienze del servizio sociale.. un ponte tra organizzazioni/istituzioni individuo e professionalità.

comunque volevo aprire una parentesi..

come sottolineato da pallaspina.il servizio sociale "clinico" è un 'anomalia italiana, che non ci possiamo permettere. la psicologia e la medicina italiana si sono perfino rubate la professione di psicoanalista. che a dispetto della sua tradizione...richiede un background non solamente medico. assurdo.
uno dei più grandi centri di psicoanalisi al mondo con sede a londra richiede preferibilmente background multidisciplinari. e nella tradizione dell' AS c'è la psicoanalisi..

la formazione continua è poco..l'assistente sociale lavora alle prese con gli assessment di identificazione dei rischi dei minori e non ha la possibilità di una formazione terapeutico clinica. lo trovo discriminante/invalidante.

piuttosto i laureati in psicologia ortodossi si dovrebbero concentrare sulla ricerca e sugli studi diagnostici/statistici e di ricerca. ma l'aspetto terapeutico clinico/organizzativo e i training per formare le capacità di osservazione devono essere pane quotidiano per l' AS. pedagogisti/educatori/counsellors e quindi una posizione in più sul mercato.
corporativismo italiano.

il discorso della libera professione però è più complesso. andrebbe aperto un bel dibattito. io vorrei solo riportare la mia comprensione a riguardo...ma ho bisogno di leggere di più.

vivo in inghilterra e preparando il progetto per il mio master sono entrato in contatto con professori/documenti/papers e associazioni che da anni allertano sui pericoli etico/metodologici che potrebbe portare la libera professione completamente slegata dall'istituzione/organizzazione.
(escludendo eventualmente il discorso clinico/teraputico..)

lavorando per un'organizzazione, ho visto le dinamiche di valutazione e la preparazione del bilancio sociale di fine anno per ripresentare la richiesta di fondi. le persone sono diventate numeri e risutati. l'approccio umano spariva, il recupero del benessere della persona aveva un significato solo in chiave di efficienza ed economicità...si aveva in mente unicamente la percentuale di interventi..per esempio quanto più un utente aveva partecipato a qualche corso per cuoco all'uscita dal carcere quanto più il team di ass sociali aveva centrato l'obiettivo.
non so se riesco a spiegarmi. io con una preparazione di base da pedagogista con una cultura alla paulo freire stavo rabbrividendo. :oops:

inoltre la solidarietà di cui parla nuvoletta è la nostra base e non possiamo perderla.la garanzia del servizio pubblico non può permettersi di contaminarsi eccessivamente con una cultura managerialista di conteggio/burocratico delle utenze e allontanamento da un'analisi concreta dei bisogni si da vita ad una cultura di efficienza dei risultati che anzichè diminuire aumenta la burocrazia della professione. di questo ci sono numerosi studi a riguardo.

l'assistente sociale non deve perdere la sua identità nella sua evoluzione con i precetti neoliberisti. noi siamo prima di tutto una professione che deve trovare sempre un qualche collegamento con il pubblico interesse proprio perchè la nostra utenza è marginale e va inclusa con interventi di protezione sociale.

il welfare italiano dovrebbe muoversi tenendo conto del ruolo dell'assistente sociale e dei suoi valori e principi.
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Re: A.A.A. lavorare come Assistente Sociale

Messaggio da pallaspina »

Leggendo il tuo resoconto di lavoro, ho pensato: allora tutto il mondo é paese... dal momento che valutazioni analoghe (che piú l'utente si iscriveva a un corso di cuoco, piú l'a.s. aveva centrato l'obiettivo) le faceva la mia ex responsabile, tra l'altro assistente sociale... Che oltretutto chiedeva le stampe storiche di tutti gli interventi economici attivati nella storia dell'utente, per ricavarne statistiche e creare un budget personalizzato del singolo a.s.... roba da matti... Ecco, proprio da queste esperienze ho tratto la conclusione che basta, io non reggo tali dinamiche, adesso mi prendo il titolo di psicologa, poi apro consulta come dicono qui, al limite muovo un paio di cristalli :lol: stile guru, chi verrá sará contento perché cercava quello, io mi rilasseró... adesso esagero un pó ma nemmeno tanto...
Per il discorso clinico, io dopo aver lavorato 12 anni nell'assessment ai minori, senza supporto di psicologi perché nel nostro ambito il servizio sanitario rifiutava l'integrazione, francamente trassi proprio la tua conclusione... che proprio la nostra professione avrebbe bisogno di competenze in merito, perché alla fine i tribunali ci chiedono in merito al benessere PSICO-sociale del minore... e avremmo tanto bisogno di un percorso piú profondo, ed é per questo anche che mi iscrissi a psicologia, per avere qualche strumento in piú.... Poi alla fine é vero, lo psicologo scusso-scusso (quello che non fa master post-laurea o scuole di psicoterapia, peró in Italia quasi nessuno, all'estero invece ce ne sono, perché é piú facile lavorare anche senza titoli post-laurea) é piú che altro un conoscitore di come funziona il cervello, la percezione, il pensiero... Conosce gli aspetti statistici delle differenze individuali, al limite puó fare diagnosi (roba che sto studiando ora alla fine del secondo anno) ma riguardo al processo di aiuto, si fa un pó pochino.... Si studiano un pó le varie terapie all'ultimo anno (io peró parlo del piano di studi spagnolo che é estremamente diverso da quello italiano), ma non é che ti "insegnino" a gestire un colloquio di aiuto.... Lo psicologo semplice non é una professione di aiuto... Io infatti, con il mio bagaglio di servizio sociale e una formazione sull'ascolto attivo che ho fatto per la mia attivitá di volontariato, mi sento anni-luce lontana dai miei compagni di corso che si adirano perché il sado-masochismo é considerato patologia dal DSM... Le mie preoccupazioni sono ben altre :lol: É per questo che non ho assolutamente paura di propormi tra due anni sul mercato del lavoro spagnolo come psicologa con esperienza di assistente sociale... Perché vedo che tanti, tanti ambiti sono scoperti... Tutti gli psicologi fanno a cazzotti per mettersi il camice bianco ed entrare in ospedale a trattare con gli psicotici e le anoressiche, ma nessuno ha voglia di trattare con il nonnino in lutto... nessuno ha voglia di sostenere la futura mamma sola e medicalizzata... Io qui non avrei strettamente bisogno di prendermi la laurea in psicologia, perché gli a.s. fanno tante cose... quando mi sono presentata a qualche scuola di psicoterapia, cosí per informazioni, tutti mi hanno steso il tappeto rosso appena ho detto che avevo la laurea italiana in servizio sociale... ma devo dire che mi sono appassionata alla psicologia... Ed é buffo come l'ho scelta attratta dagli aspetti clinici (perché quello che ci é proibito attrae sempre... no?) e alla fine del giro sceglieró un ambito assolutamente non clinico!! :D
SaraR
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Re: A.A.A. lavorare come Assistente Sociale

Messaggio da SaraR »

Salve, sono una neo assistente sociale(da un anno), ho letto tante interessanti riflessioni dai colleghi con molta, molta esperienza ma, scusate se azzardo, in linea con i tempi....teoria, teoria, teoria....nessuno ha dato delle risposte concrete ai miei precedenti quesiti, ovvero come facciamo noi da poco abilitati ad accumulare esperienza? premetto: non posso lavorare come educatrice, come operatore socio-sanitario, mi rispondono che non ho i titoli, non posso lavorare per anni gratuitamente ( i miei genitori non sono ricchi), invio CV e mi chiedono esperienza...qualcuno oltre alla teoria mi può dare rispèoste concrete? Master? costosi e il più delle volte inutili...poi non possono prendermi ferie per frequentare un master (per campà devo svolgere un lavoro in un altro settore...quindi nessuna esperienza come A.S.....)
qualcuno ha preso valigia di cartone ed è andato all'estero ed ha avuto uno esperienza positiva?
Se sì, mi posso mettere in contatto?
Grazie.
Sara.
davide
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Re: A.A.A. lavorare come Assistente Sociale

Messaggio da davide »

Io ora vivo all'estero (UK) ma ho vissuto e vinto progetti/bandi/ per lavorare anche in altri paesi europei.
scriviamoci pure!

però vorrei dirti una cosa.
hai descritto una situazione di stallo/prigione.. e questo mi ha dato l'ansia solo leggendolo... :)

più pensi al risultato meno arriva. più ti chiedi come faccio a fare esperienza meno fai esperienza e rimani in stallo a chiederti quale sia il passo giusto.

più invece ti chiedi cosa devo migliorare, quali competenze mi servono più il tuo cervello si attiva su un piano pratico e si innesca il processo del : "da cosa nasce cosa".

a volte il piano d'azione o una singola esperienza sembrano incoerenti..ma tutto è produttivo anche in termini personali e di crescita.

anche per me ora arrivaranno nuove sfide e cambiamenti di carriera.occorre tenere duro ed essere pazienti...
la confusione secondo è una fase giusta.l'ho vissuta altre volte nella vita, prima dei cambiamenti..

serve ad acquisire elementi.. e prepararci per imboccare la strada più giusta, accoglierla ci aiuta.

a presto Sara!
pallaspina
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Re: A.A.A. lavorare come Assistente Sociale

Messaggio da pallaspina »

Giusto... Per fare un esempio, il mio primo lavoro lo trovai in un modo quasi incredibile... Anche allora, non era facilissimo trovarlo e io avevo mandato curriculum a decine di coop sociali senza ottenere nemmeno un colloquio, quando invece tantissimi colleghi erano stati contattati. Un giorno ho visto un bando dell'AISM per borse di studio per medici e ho pensato: bé, non sono medico, ma chi lo sa, io il curriculum glielo mando. Non ci crederete, ma é stata l'unica volta che mi hanno chiamato!!! Ho fatto un colloquio scritto e orale insieme ad altre 3-4 colleghe e hanno preso me, era una borsa di studio di un anno per una ricerca a Firenze, era un ruolo di RICERCA, 1.500.000 di lire al mese (non male come primo incarico...), bellissimo, come mi sono pentita e sempre mi pentiró di averlo lasciato per lavorare in Comune... non era un lavoro "sicuro" ma l'aiuto-primario mi aveva giá detto che da cosa sarebbe nata cosa... E io senza saperlo stavo lavorando con un team famoso a livello MONDIALE, quello di Luigi Amaducci, rimpiantissimo neurologo fiorentino (ogni tanto, a psicologia, faccio la "chula" e dico: IO ho conosciuto Amaducci!!!" :D
SaraR
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Re: A.A.A. lavorare come Assistente Sociale

Messaggio da SaraR »

Grazie Davide e grazie Pallaspina...un pò è così...sono imprigionata.....io ho voglia di crescere, migliorae, certo, ho studiato tanto nella mia vita...non mi spaventa certo...lavorato e studiato insieme....l'ambito che mi interessa di più è l'ambitpo minorile, ma certo non mi sono mai chiusa tutti altri ambiti. Ma non posso licenziarmi dal lavoro per frequentare un master a Roma o Milano, non sono tempi nè qualcuno può mantenermi, e poi...sarebbe un vero salto nel buoio...molte mie amiche hanno frequentato inutilmente master costosi ....tutto fumo!!Nemmeno lavorare greatis...io non sono giovanissima, perchè ho conseguito precedentemente una laurea in giurisprudenza, i bandi europei hanno un limite di età (a parte che il mio inglese è molto basico).
Davide come posso contattarti privatamente (via mail, magari) avrei tante cose da chiederti, io vorrei provare a venire in UK (certo ci saranno anche lì problemi di occupazione...), ma è difficiòle capire come fare, a chi rivolgersi, se è necessario che io frequenti ancora l'università. Mi avevano proposto un corso di inglese a Cambridge, e potrei "guardarmi intorno", sarei disposta a partire dal basso, fare uno stage, volontariato. Io ho competenza anche con bambini di asilo nido, per arrotondare potrei lavorare con i minori, non so attività ludiche, baby sitter.... mi faresti veramente un grande favore!!!
Grazie.
Sara.
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