Assistenti sociali e politiche del lavoro

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lelap88
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Assistenti sociali e politiche del lavoro

Messaggio da lelap88 »

Buonasera a tutti, scrivo qui stasera perché mi piacerebbe aprire un dibattito intorno a un argomento con voi colleghi, sicuramente molti dei quali con molta più esperienza di me.
Io sto svolgendo il servizio civile all'interno di un patronato da maggio 2015 e, dopo i primi mesi di assestamento, mi sono resa conto di un bisogno molto forte da parte degli utenti che si rivolgevano nel nostro ufficio ma soprattutto, ho sentito di poter usare le mie conoscenze e competenze per poter offrire un servizio che, a prima vista, sembrerebbe estraneo alla nostra professione. Ho progettato e realizzato uno sportello di orientamento al lavoro e alla formazione finalizzato all'inclusione socio-lavorativa di soggetti a rischio di emarginazione sociale e alla prevenzione della dispersione scolastica.
Mi sembra di non essermi inventata alcuna competenza per farlo, parliamo di offrire informazioni per orientarsi e far conoscere i propri diritti, promozione dell'autodeterminazione e del cambiamento, lavoro di rete con soggetti istituzionali, privati profit e non profit.
E allora perché a nessuno interessa che io sia un'assistente sociale, anzi quando lo faccio presente mi guardano con diffidenza? Se, incrociando le dita, dovessi continuare a gestire lo sportello anche quando avrò finito il servizio civile, potrei tranquillamente cancellarmi dall'albo, perché non solo non rappresenta un requisito indispensabile (e ci sta) ma neppure un valore aggiunto. Allo stesso modo, vedo che l'argomento è quasi indifferente al mondo del servizio sociale...
Eppure intorno alle politiche attive del lavoro sta avvenendo una vera e propria rivoluzione, non sarà che stiamo perdendo l'ennesimo treno e lasciando il lavoro dell'orientamento nelle mani di psicologi, se va bene, se non di semplici operatori?
Volevo capire se è un tema che a voi colleghi è completamente estraneo o se vi è mai capitato di pensarci su.
Riccardo
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Re: Assistenti sociali e politiche del lavoro

Messaggio da Riccardo »

Bene...è bello vedere tanto interesse soprattutto per un tema che ci riguarda cosi da vicino, anche come professionisti (nel mio caso in 5 anni: contratto a chiamata, contratto a progetto, interinale, co.co.co, quasi P.IVA);
Non temo affatto di essere precario in eterno, ma secondo me manca ancora consapevolezza su questo tema, soprattutto se penso agli scenari della protezione sociale nei prossimi 20 anni, alle tutele, agli ammortizzatori sociali alla previdenza complementare....

Ad ogni modo, ho visto anche io che portare innovazione di qualunque genere, nei Servizi è molto difficile; il rischio di perdersi i treni, come dici tu, è piuttosto concreto.
Pensare di andare avanti cosi e basta secondo me è il modo peggiore per aumentare il distacco tra competenze e prospettive, tra operatori e utenti.
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ugo.albano
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Re: Assistenti sociali e politiche del lavoro

Messaggio da ugo.albano »

Il nostro "stato sociale", per quanto scalcagnato, s'è sempre basato sull'attivazione delle persone al lavoro. Ciò nelle metodologie e pure nella Legislazione.

Ricordo che lo Stato ha puntato proprio sugli assistenti sociali per la gestione di queste politiche: il Ministero del Lavoro aveva un forte contingente di aa.ss. Poi è avvenuto un passaggio agli EE.LL., coinciso con una scelta di non considerare gli aa.ss. Se da una parte (specie nelle Regioni di "sinistra") c'è un chiaro indirizzo al "tutti fanno tutto", dall'altra si sono infilati altri gruppi (vedi gli educatori professionali) a sostituirci nelle politiche del lavoro.

La questione dei Patronati è emblematica: se essi di fatto praticano l'intermediazione tra amministrazione e cittadino ed avviano veri e propri servizi (sportello, orientamento, ecc.) non c'è uno straccio di vincolo sul personale, col paradosso che, se da loro si presenta un asino o un porco lo fanno lavorare, se ci presentiamo noi dicono "no, grazie".

Non bisogna deprimersi. Occorre invece vendere la propria professionalità frutto della nostra identità e del nostro studio. Occorre poi diffondere cultura metodologica: io di testi in servizio sociale sulle politiche del lavoro non ne vedo. Sta a noi riempire questo gap.

Poi di esperienze valide nel campo io ne vedo tante. Occorre solo diffonderle.
Ugo Albano

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Re: Assistenti sociali e politiche del lavoro

Messaggio da lelap88 »

Grazie per le vostre risposte, mi sento un po' rincuorata nel sapere che non sono io ad essere impazzita e a essermi buttata in qualcosa che non ha nulla a vedere con la nostra professione.
Condivido quello che dice il dott. Albano sul patronato, ma vedo che la mia preparazione è molto apprezzata perché il futuro di questi enti sta nella progettazione di nuovi servizi, visti i tagli e altri aspetti.
Allora perché non cerchiamo di appropriarci, anzi a questo punto di ri-appropriarci, di questi spazi, non tanto delle politiche passive (ammortizzatori sociali e compagnia bella), quanto di quelle attive che avrebbero veramente bisogno per essere realizzate di professioni come le nostre, attente ai bisogni degli utenti nella costruzione dei progetti d inserimento e non di cinici operatori dei cpi o degli enti di formazione interessati solo ai numeri?
Non lo so, a me cadono le braccia quando sento dell'ennesimo corso accreditato dall'Ordine su giustizia minorile, deontologia, integrazione socio-sanitaria... Sicuramente temi importantissimi, ma i riferimenti normativi e metodologici sono fermi a una decina di anni fa... ho l'impressione che la nostra comunità (almeno la mia regione, la Puglia) abbia smesso di guardare avanti, di misurarsi con il sistema attuale.
Come al solito, penso che alla base di tutto c'è un sistema universitario obsoleto e inefficiente che sforna assistenti sociali perfetti per lavorare nel pubblico, senza alcuna speranza di lavorarci.
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Re: Assistenti sociali e politiche del lavoro

Messaggio da Nazg »

Io mi chiedo spesso qual è il ruolo del servizio sociale in merito alla questione lavoro.

Siamo spesso collocati in servizi che non si occupano a pieno titolo del tema lavoro, attiviamo borse lavoro per soggetti svantaggiati che generalmente non hanno come priorità l'assunzione, ma obiettivi di altra natura (valutare la capacità di stare alle regole, dare un sostegno economico, inserire i disabili, ecc.)

Ci manca anche la formazione specifica...
Però le persone che non hanno lavoro si rivolgono spesso ai servizi sociali, quindi che fare?
E' una domanda che per me resta aperta...
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Re: Assistenti sociali e politiche del lavoro

Messaggio da lelap88 »

Il nostro ruolo potrebbe essere, volendo pensare in grande, quello di avere voce in capitolo nella realizzazione delle politiche del lavoro, sia quelle attive che quelle a sostegno del reddito. Chi conosce la realtà sociale e i bisogni veri delle persone in stato di bisogno può essere una risorsa preziosa per stabilire determinate misure e razionalizzare le risorse. Oltre a erogare borse di lavoro potremmo essere noi a progettare servizi di inclusione socio-lavorativa, prendere contatti con cooperative e aziende, non solo fare i "controllori" e valutare impegno e puntualità.
Nel piccolo fare orientamento in una scuola per indirizzare i ragazzi verso scelte in linea con le loro attitudini e potenzialità, parlando di cosa offre il territorio e come muoversi, prevenendo così la dispersione scolastica, promuovendo l'autodeterminazione, creando nuove opportunità. Oppure realizzare bilanci di competenze e creare progetti professionali personalizzati per accompagnare l'utente nell'inserimento/reinserimento nel mondo del lavoro, sostenendolo nelle sue scelte e sviluppando le motivazioni. Ci sarebbe poi l'ampissimo discorso della conciliazione famiglia-lavoro.
Sono d'accordo sul fatto che occorre specializzarsi, ma bisogna sentirne l'esigenza.
Ho aperto questo dibattito perché, come ho già detto, sostengo che stia avvenendo una rivoluzione intorno ai servizi e alle politiche del lavoro e la nostra professione non dovrebbe stare ad aspettare che vengano spartiti i compiti sperando in qualche briciola.
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Re: Assistenti sociali e politiche del lavoro

Messaggio da ugo.albano »

Il problema - dall'Ordine all'Università - è l'orientamento del servizio sociale verso dimensioni "assistenziali", di mantenimento.

L'orientamento verso le politiche attive (cioè "che le persone stanno bene se lavorano e guadagnano soldi, dipendenti o autonomi", per capirci) ha visto un nostro arretramento.

Il patronato si è finora posto sui servizi "a rimborso statale" (vedi i CAF o le pratiche INPS), la scommessa di mercato devono ancora affrontarla, però. Qualcuno ci prova, vedi la questione badanti o orientamento al lavoro.

Lo so, la formazione dell'Ordine è ridondante, obsoleta, per non dire "noiosa": rispecchia un pò il "vivacchiare negli enti pubblici". D'altra parte se i consiglieri sono pubblici dipendenti, che ti aspetti? Vedono solo dal "balcone" dell'ente, con la consapevolezza dello "stipendio fisso".

Il ridimensionamento identitario nostro e l'esplosione verso campi nuovi (ma "nostri" fino a qualche anno fa) sono possibili, la occorre specializzarsi secondo un approccio liberoprofessionale. Mi spiego: se vuoi specializzarti in orientamento devi formarti nel coaching. Se ripeti questa frase ai colleghi probabilmente il 90% non capirà. Ma sta ad ognino di noi scegliere di investire in una specializzazione. Secondo me il mercato lo capisce: pure il Patronato apprezza un "assistente sociale specializzato in orientamento al lavoro", un pò meno un "assistente sociale tuttologo" (che sa un pò di tutto, ma non sa fare niente).

INOLTRE: il riscatto sociale del Sud, Puglia in testa, non può passare per politiche assistenzialistiche. Nè può l'emigrazione essere la solita risposta. Si tratta di educare/addestrare le persone a restare sul territorio, a fare impresa, ad amare il lavoro "legale", a restituira a questa terra una storica dignità che non può che passare per il lavoro.

Uh, mi sono un pò perso......
Ugo Albano

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Re: Assistenti sociali e politiche del lavoro

Messaggio da lelap88 »

Ha centrato perfettamente il discorso. E cento volte di più questo vale per i giovani, ecco perché è fondamentale lavorare anche sui progetti con le scuole, come assistenti sociali, non come educatori, psicologi o pedagogisti.
Due sono, a mio avviso, le condizioni che garantiscono l'indipendenza della persona: una è la salute, e sul tema fortunatamente abbiamo puntato i fari già da tanto tempo anche se ci sarebbero ampi margini di miglioramento, l'altra è il lavoro. Pertanto la mia opinione è che se vogliamo essere gli operatori del benessere dovremmo fare i conti con questo.
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