la mia professione

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pallaspina
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la mia professione

Messaggio da pallaspina »

Da un mese sono tornata a fare lavoro sociale in Spagna e non posso evitare di raccontarvi la mia felicità per lavorare in un sistema che funziona
Sono in una fondazione che gestisce molti progetti sociali. Il livello di autonomia tecnica e' altissimo. Nessun politico che mette il naso in come il tecnico gestisce l'intervento... Abbiamo supervisione, abbiamo supporto amministrativo, burocrazia tendente a zero, chiarezza estrema sui diritti, orario flessibile, buon rollo, come dicono qui, fra i colleghi e con i responsabili. Un paradiso. Per la prima volta dopo 20 anni posso dire che mi piace questo lavoro. Addirittura posso montare una colonia urbana con pare a me, con i metodi che voglio. Coordino persino gli psicologi. E' fantascienza? No... E' Europa!
Chiara
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ugo.albano
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Re: la mia professione

Messaggio da ugo.albano »

Cara Chiara,

sono felice di questa tua esperienza. Stavo chiedendo a me stesso se fosse possibile pure in Italia.

Secondo me si. Ma non lo si può fare in un Comune, o ente pubblico.

Pensa che - ci ho fatto caso solo dopo! - a seguito del mio ultimo libro, in cui intervisto nove colleghi con "belle esperienze in Italia", ho fatto caso al fatto che tutti gli intervistati operano o si ispirano ad esperienze extra-pubblico.

Il problema è quello: se si tratta di creare servizi innovativi, in cui è necessario competenza e creatività, il servizio pubblico (burocratico, con capi incapaci, senza cura dell'immagine) è quello meno adatto.

O no?
Ugo Albano

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pallaspina
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Re: la mia professione

Messaggio da pallaspina »

Indubbiamente, Ugo. É una riflessione che faceva ieri una collega matura, dicendo che nel privato si guadagna meno ma si lavora meglio. Qui, in veritá, il pubblico funziona sempre meglio che in Italia, peró é vero che sempre il pubblico ha una struttura piú rigida, piú faticosa, piú... politica, dove la politica é vetrina e non risposta alle necessitá della gente. Qui gli stipendi pubblici, per quello che ho capito, sono piú buoni che in Italia, e non si entra solo per concorso, perché ci sono selezioni per incarichi nel pubblico. Vamos, il fatto che il lavoro non sia "per tutta la vita" non vuol dire niente, perché ho visto gente lavorare 10 anni nel pubblico, licenziarsi e mettersi nel privato... diciamo che entrati nel meccanismo, non si rimane senza lavoro ed é facile cambiare. Prima o poi, se resto qui, il problema me lo porró anche io, perché escono posti di psicologo nell'amministrazione della giustizia, negli enti pubblici di tutela minori, etc., peró poi penso... dopo ho vincoli piú rigidi, lavoro piú standardizzato... invece adesso sono in una realtá giovane, flessibile, per esempio se decido che una persona entra nel programma di aiuti, porta 3 documenti e firma due fogli e giá fatto... sta nel programma fino a che IO decido che non ha i requisiti... nessun assessore che mi chiama chiedendo perché al suo amico non ho dato aiuti, senza parlare delle orribili commissioni sociali in cui ogni mese dovevo fare 20 relazioni 50 fotocopie e compilare moduli che nemmeno un fiscalista... Abbiamo un magazzino enorme dove se una persona ha bisogno tiriamo fuori vestiti, giocattoli, libri, prodotti e glieli diamo... oggi una signora mi ha chiesto dei prodotti e l'amministrativa ha tirato fuori 5 buoni da 10 euro l'uno perché si comprasse quello che necessitava al supermercato... se uno dice che non ha soldi per andare a lavorare apriamo il cassetto e gli diamo un ticket da 10 del metro cosí sull'unghia senza rincorrere il funzionario per fargli firmare 10 autorizzazioni... Risultato la gente é contenta e noi pure... i famosi problemi di aggressivitá, di cui spesso parliamo qui, non esistono proprio, perché i diritti sono chiari e trasparenti e la gente sa che non puó chiedere quello che non c'e'... Che ti devo dire... Un'altra cosa che commentavo oggi con i colleghi.. nella fondazione dove ho lavorato 6 mesi prima che mi chiamassero qui, dopo 2 mesi che mi conoscevano, sapendo che sono mediatore e tengo conoscenze di CNV, mi hanno fatto dare una formazione all'equipe... in 13 anni di Comune invece non sono MAI stata valorizzata.... le cose belline le facevano gli amici dei capi e degli assessori, e a me i casini... E ora, il venerdí posso montarmi la consulta di psicologa e fatturare senza che mi esigano fedeltá assoluta all'ente. Non c'e' dubbio, Ugo, che le esperienze relazionate con il privato siano meglio... Ricordo che stavo per bruciare la laurea in servizio sociale quando mi trasferii qui... E adesso invece vado contenta a lavorare!
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ugo.albano
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Re: la mia professione

Messaggio da ugo.albano »

La questione non è Spagna-Italia o pubblico-privato. Si tratta di cultura del personale (e lì il capo o è competente o non lo è) e della natura intrinseca dell'ente (se deputato a far da sgabello al politico o misurarsi col mercato).

Nella mia esperienza in Germania ho imparato che la gestione del personale è un fatto di cultura. Lì basta candidarsi, se ti chiamano tanto per cominciare ti rimborsano il viaggio, nel colloquio ti strigliano con colloqui e test (a me hanno fatto pure l'esame calligrafico....) e, se sei utile, ti assumono. Non c'è una legge sui concorsi, con titoli, punteggi e pippe varie: se vali ti prendono, e ciò non per simpatia, ma perchè sei utile.

In Italia almeno io (non so gli altri) ho fatto esperienze simili alle tue. Tanto per cominciare il terzo settore non sa chi siamo, e ciò perchè la maggioranza dei colleghi si identifica con il lavoro burocratico: su ciò ripeto che la colpa è nostra. Poi, nonostante la rigidità delle selezioni (concorsi), preferiscono sempre il più scemo.

Però, RIPETO: dobbiamo farcela pure noi in Italia. Il fatto che i concorsi sono bloccati ci aiuta non poco nel costringerci ad agire in quanto professionisti e non in quanto "parte di una purocrazia pubblica e perciò clientelare. La nostra professionalità NON può dipendere dal dirigente di turno, dall'assessore di passaggio, dal "sistema mentale di gruppo" che spesso osservo da parte di gente che vegeta da decenni sulle scrivanie.

Certo, dipende dal contesto e dalla cultura del lavoro del Paese (da noi siamo al medioevo, secondo la mia analisi), ma pure da noi è necessario vedere oltre: lo dico ai giovani, specialmente. Adattarsi è troppo facile (ma non fa così l'ignorante?), darsi invece da fare (studiando, specializzandosi, creando impresa ed associazionismo) è più difficile, ma premia.

E' una questione di essere coerenti con se stessi, allo stesso modo di come si sta in coppia con un partner che ti usa violenza: aspettare il miracolo o decidere di lasciarlo fa la differenza.
Ugo Albano

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