questione di... nome (?)

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pallaspina
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questione di... nome (?)

Messaggio da pallaspina »

Salve a tutti! Vorrei raccontarvi cosa mi é successo ieri e magari generare un dibattito. Come alcuni sanno, sono una collega che da qualche anno vive in Spagna; in Italia ho esercitato la professione vari anni mentre qui sono laureanda in psicologia e mi dedicheró a questa professione da gennaio.
In Spagna la facoltá si chiama "Trabajo Social" e il professionista "trabajador social", peró avevo letto da qualche parte anche "asistente social" e mi stavo giusto chiedendo se ci fossero differenze, peró pensavo fosse un discorso di mansioni e quindi interpretavo che il "trabajador social" é un operatore piú generico e l'"asistente social" quello che lavora nel pubblico. Sottolineo che la professione qui é un pó diversa dall'Italia, in quanto c'e' molto privato sociale convenzionato e quindi é molto piú comune lavorare lí che nel pubblico. Inoltre l'assistente sociale qui é una figura che spesso sfuma nel ruolo dello psicologo e dell'educatore, spesso per alcune mansioni questi ruoli vengono richiesti in maniera indifferente e comunque qui l'assistente sociale non fa interventi economici diretti ed é prevista una progressione di carriera in tutti gli enti.
Ieri stavo racocntando che ho lavorato come assistente sociale e una collega che appunto lo é, mi ha aggredita dicendo se non mi vergognavo a definirmi cosí, perché la categoria ha lottato tanto per cambiare il nome da "asistente social" a "trabajador social", uscendo dalla logica assistenziale e paternalista, per cui in Spagna oggi "asistente social" é di solito l'assistente domiciliare. Ovviamente qui non esiste (come in Italia) che assumano come "operatore sociale" un semplice diplomato: sempre chiedono un titolo in servizio sociale, o psicologia, o educazione sociale, o sociologia, etc.
Dunque ho spiegato alla collega che in Italia é un pó diverso e che nel mio gergo "operatore sociale" (che é la traduzione di "trabajador social") é un generico e puó essere anche una persona che non ha un titolo specifico. A rendere le cose ancora piú strane é il nome della facoltá: servizio sociale. Facoltá servizio sociale, professione assistente sociale... Fateci caso, ma nelle altre maggiori lingue, la facoltá si chiama "trabajo social" (travaille sociale, social work) e il professionista "trabajador social" (social worker). In Germania addirittura esistono due figure con compiti leggermente differenti, il sozialarbeiter e il sozialpaedagogiske (Ugo, correggimi se sbaglio).
Voi che conclusione ne trarreste?
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chiara79
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Re: questione di... nome (?)

Messaggio da chiara79 »

Qui in Francia il "travailleur social" è la macro-categoria che include diverse professionisti tra cui "l'assistant de service social" (fino a qualche anno fa si chiamava "assistant social"). Però il "travailleur social" è una categoria seria che annovera tutte professioni cui la formazione è triennale o più e che prevede il superamento di un esame di stato. Insomma non paragonabile al nostro "operatore sociale" che non significa nulla e non è garanzia in merito ad un percorso di studi e/o superamento di un esame di stato.
La disciplina di servizio sociale non esiste, si parla del generico "travail social" a cui i diversi professionisti fanno riferimento, pur avendo ognuno i suoi elementi caratteristici che fondano la professione e che la differenziano dagli altri.
Ecco, spero di aver dato una risposta alla tua comparazione... coté France!
Ciao
pallaspina
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Re: questione di... nome (?)

Messaggio da pallaspina »

Credo che davvero si tratta di una professione le caratteristiche della quale sono molto determinate dal contesto socio-culturale :shock:
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ugo.albano
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Re: questione di... nome (?)

Messaggio da ugo.albano »

Beh, il problema riguarda tutte le attività nate come semiprofessioni ed in evoluzione verso la professione.

La questione delò nome è pure questione di sostanza (competenze) e queste cambiano da Paese a Paese. Ogni Paese, dietro il singolo "conio" modifica la sostanza a seconda dell'interesse di quel sistema a volere certe competenze.

Noi in Italia siamo da sempre abituati al casino, ovvero al "chi arriva primo meglio si piazza". In Italia non c'è stato il coraggio di voler connettere certe professioni ad un coerente sistema di welfare, per cui tutti fanno tutto, tranne poi difendere con i coltelli i propri confini.

In questo casino, in questi anni, ho visto professioni nuove strutturarsi su competenze chiare, anche "sottraendole" agli assistenti sociali, i quali nel frattempo si crogiolavano nel pubblico impiego a riempire carte. Le conseguenze sono sotto i nostri occhi.

Restando alla sola questione del nome......già chiamarci allo stesso modo è un problema. C'è chi si definisce "operatore", chi "funzionario". Pure farsi chiamare "dottore" (che è prerogativa di legge) è una costante omissione che osservo nei (giovani) colleghi, tranne che poi genuflettersi di fronte agli "altri" dottori.
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Re: questione di... nome (?)

Messaggio da pallaspina »

Sai peró Ugo un'altra differenza spagnola che mi impressionó? che qui i laureati non si fanno chiamare "dottori". Solo il laureato in medicina é "dottore". Sembra stranissimo per un italiano (anche io feci il faticoso percorso di arrivare a farmi chiamare "dottoressa" quando presi la laurea magistrale) eppure é cosí. Ricordo ancora un docente che bacchettó una collega studentessa di psicologia quando scrisse in fondo a una relazione il suo nome con a lato "doctora": "Non siete medici" :shock: Qui si scrive solo "licenciado" (che equivale al nostro "laureato") accanto al nome.... se scrivi "dottore" appunto si arrabbiano o ti prendono in giro... :mrgreen:
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Re: questione di... nome (?)

Messaggio da ugo.albano »

E' lo stesso in Germania, nel cui sistema accademico il "doktor" è il ricercatore. Poi, va beh, il fatto che il popolo intenda come "dottore" il solo medico, ciò è risaputo.

INSISTO: il fatto che il nostro Ordinamento fin dal Fascismo abbia previsto l'uso del titolo di dottore NON ai medici, ma a tutti i possessori di un titolo universitario ha un senso democratico. Cioè io laureato in servizio sociale NON SONO MENO rispetto ad un laureato in chimica, in lettere o in ingegneria. Perchè solo i medici?

La questione è però tuttaltro che formale: chi si fa chiamare dottore, come tale si comporta, comunica, decide. Dottore deriva dal latino "docere"- insegnare, cioè teorizzare, cioè.....quando faccio una cosa, ciò deriva da teorie scentifiche e modelli precodificati.

Il fatto che molti colleghi (specie i giovani) non si sentano dottori (anche se lo sono sulla carta), probabilmente deriva dalla carenza teorica.

Però, scusate, che ognuno codifichi se stesso ed evitiamo il solito "pensiero di gruppo", per cui "siamo tutti uguali".

Io sono e mi sento un dottore magistrale. Chi lo è sulla carte e se lo nasconde in pubblico....beh, fa meglio ad andar a raccogliere le patate, che almeno danni non ne fa!

Dovremmo, cara pallaspina dalla Spagna, cominciare a dirci il merito, a parlare di sostanza, a rappresentare le buone pratiche.

Il resto sono chiacchiere: si disperdono col vento.....
Ugo Albano

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Re: questione di... nome (?)

Messaggio da pallaspina »

Concordo :) Io dico sempre che gli assistenti sociali hanno il complesso di Cenerentola mentre gli psicologi hanno quello di Lorenzo il Magnifico :mrgreen: Quanto i primi si percepiscono sempre carenti in tutto, i secondi si percepiscono veramente onnipotenti fino a poter arrivare, in certi casi, ad essere potenzialmente nocivi.... Come te, credo anche che una cosa sono i percorsi personali e altra quelli collettivi: ma vedo possibile differenziarsi dalla categoria quando e se la categoria si é definita... La mia sensazione é che la categoria degli assistenti sociali italiani ancora non abbia risposto all'annosa domanda "chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo"... Insomma, va bene l'Enigma freudiano, peró una categoria professionale con tanto di codice deontologico e albo dovrebbe avere le idee un pochino piú chiare.... Ti faccio un esempio riferito alla psicologia: se a farla da padrone sono i cognitivo-comportamentisti e io mi voglio differenziare, andró verso l'umanismo e troveró probabilmente la mia via... Ma se il servizio sociale continua a essere né carne né pesce e non si auto-definisce, gli appartenenti alla sua categoria vagheranno sempre disorientati spesso salendo sul primo carro che passa... É una sensazione, eh, che percepisco ultimamente anche grazie alle reti sociali: adesso sembra che tutti debbano e possano fare la libera professione senza nemmeno avere chiaro che cosa questo significhi a livello di prestazioni professionali; vedo a volte andare verso percorsi magari interessanti ma quantomeno atipici rispetto al ruolo (arteterapia, costellazioni familiari)... Per caritá, io sono una professionista talmente olistica che non rivendicherei mai "questo appartiene alla psicologia, questo al servizio sociale, questo a Tizio e Caio" perché credo che gli arroccamenti professionali siano tutti deleteri, peró ripeto: in una situazione in cui la professione é definita e allo stesso tempo ci sono possibilitá di sbocco verso competenze-altre (non vorrei essere noiosa citando sempre la Spagna, dove per esempio un assistente sociale viene ammesso alle formazioni come terapeuta), il professionista assesta la sua base e poi magari la abbandona per.... In una situazione come quella italiana, dopo dove quasi un secolo si sta ancora a discutere a livello accademico e professionale di "chi é l'assistente sociale" e nello stesso tempo c'e' una notevole rigiditá e pochissima permeabilitá tra percorsi formativi diversi, vedo non solo la categoria ma i singoli colleghi allo sbando totale...
Si fa per ragionare :wink:
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Re: questione di... nome (?)

Messaggio da ugo.albano »

Concordo sull'analisi.

Andrei però oltre. Per esempio io comincerei ad accettare il fatto che in questa fase storica vengono sempre meno le "appartenenze", i "ruoli",.....i "nomi", appunto.

Se accettassimo di navigare in questa "società liquida", dovremmo però fotografare cosa può essere vincente.

Io chiedo sempre nei miei corsi "ma oggi la gente per che cosa pagherebbe"??

Per la laurea che abbiamo appesa in studio, per il titolo sulla porta......o per cosa?

Il cliente (perchè oggi il welfare è un mercato, se non ve ne siete accorti....) vuole certezza sul prodotto, qualità, tempi certi, obiettivi garantiti.

Io arrivo a soddisfare il cliente solo se sono competente.

Ovvero: che so fare? Non in generale, ma "...che so fare bene bene..."??

Ecco che il nome è collegato alla sostanza: la competenza.

Io se mi fermo alla "massa" (impantanati negli enti burocratici, che non sanno definirsi, che non si vogliono definire, ecc.) mi compro una pistola e mi sparo, che faccio prima.

Se invece cerco dei "buoni professionisti" li trovo, grazie a Dio.

Ecco: tra gli assistenti sociali ci sono (non pochi) bravi professionisti. Basta solo vedere cosa combinano nella libera professione per tirarsi su d'animo. Un pò (...anzi parecchio...) più nascosto è il "professionismo dipendente", ma ciò deriva dalla non abitudine (pubblica...) a comunicare ciò che si fa.

Uh,,,, non so se sono uscito fuori tema.....
Ugo Albano

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Re: questione di... nome (?)

Messaggio da indeciso »

Pallaspina, in Spagna non è che i laureati non si fanno chiamare dottori. I laureati NON sono dottori. Come in tutti i paesi del mondo ad eccezione della Serenissima Repubblica di San Marino, dottore è solo chi ha conseguito un dottorato (non un medico. Mio fratello ha studiato Medicina in Catalogna e ti assicuro che per loro non cambia niente). Non so se in Spagna l'usurpazione dei titoli è legalmente perseguita (in Italia era prevista come reato dall'art. 498 cod. pen., poi depenalizzato e trasformato in illecito amministrativo), ma, qualora lo fosse, sarebbe illegale farsi chiamare dottore da parte di chi non lo è.
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Re: questione di... nome (?)

Messaggio da indeciso »

Vorrei fare presente che, se è vero che la prima regolamentazione dell'uso della parola "dottore" come qualifica accademica (e non titolo) di cui abbiamo memoria risalga al governo Mussolini, è anche vero che nella tradizione dell'università italiana la parola "dottore", che peraltro deriva dal latino "doceo" (insegno), non ha mai avuto niente a che fare con i medici.
Probabilmente il regime avvertì l'esigenza dell'uso della parola "dottore" come titolo per distinguere le lauree (che all'epoca erano l'unico titolo universitario esistente: per i dottorati si sarebbe dovuto attendere quasi sessant'anni) rilasciate dalle università e dagli istituti universitari a ordinamento speciale dai titoli di studio rilasciati dalle istituzioni di istruzione superiore (cioè post-secondaria) non universitarie ancorché di livello universitario: le scuole di applicazioni per ingegneri di ponti e strade, le scuole di scienze politiche e sociali (come la Cesare Alfieri di Firenze) etc.. Ci vollero infatti diverse riforme affinché venissero istituite le facoltà di architettura (prima la formazione degli architetti avveniva attraverso i licei artistici seguìti dalle accademie di belle arti), le scuole di scienze politiche e sociali venissero trasformate in facoltà di Scienze politiche (e poi di Economia e commercio) e accorpate all'università, le scuole di applicazione venissero trasformate in facoltà di ingegneria e subissero la stessa sorte (la prima fu quella della Federico II di Napoli), la Regia scuola di agricoltura di Portici diventasse facoltà di Agraria dell'Università Federico II di Napoli etc.. La Bocconi all'epoca era una scuola di specializzazione per ragionieri, che gradualmente acquisì lo statuto universitario.
Di fatto, dunque, dottori erano solo i laureati in Medicina, Lettere, Filosofia, Pedagogia, Lingue, Giurisprudenza, Scienze coloniali, Farmacia e corsi delle facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali. Ingegneri, architetti, agronomi, abilitati in scienze economiche e commerciali non si formavano nelle università, la maggior parte dei giornalisti (come oggi, del resto) non era laureata e tutte le altre professioni regolamentate (geometra, ragioniere commercialista, perito industriale etc.) si formavano nella scuola secondaria superiore. Ricordiamoci che non esisteva nessun'altra laurea al di fuori di queste.
Ovviamente, per la gente comune la parola "dottore" diventò sinonimo di medico perché era il medico era l'unico laureato con il quale tipicamente le classi popolari avevano a che fare; il farmacista veniva sovente scambiato per medico (addirittura mia madre, che è moglie di medico e madre di un laureato in Medicina, lo chiama "medico farmacista", come chiama l'odontoiatra "medico dentista") e l'avvocato veniva chiamato col titolo professionale, come pure il docente (maestro, che peraltro di norma non era laureato, o professore). Difficilmente all'uomo di strada capitava di avere a che fare con un magistrato oppure con un alto funzionario o dirigente pubblico (a parte il fatto che sino a non moltissimi anni fa era possibile raggiungere i più elevati gradi gerarchici di quasi tutte le pubbliche amministrazioni senza laurea, in alcuni comparti senza neanche il diploma).

Nei paesi di lingua inglese il medico è "doctor" semplicemente perché esiste una distinzione tra i dottorati di ricerca (Ph.D.) e i dottorati professionali: tra questi, c'è il titolo di medicinæ doctor, come quello di juris dotctor. Anche a livello di master, cioè di laurea magistrale, c'è una differenza (M.Phil. è quello di ricerca, mentre tutti gli altri – M.A., M.Sc., M.E.… – sono taught. Il LL.M. è sui generis). La stragrande maggioranza dei laureati non è dottore, mentre la quasi totalità dei medici lo è. E il termine "doctor" non è usato in posizione appositiva, cioè come titolo davanti al nome. Ecco perché il concetto di doctor rimanda popolarmente a quello di phyisician.
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Re: questione di... nome (?)

Messaggio da pallaspina »

Non so... io sono molto piú terra terra, Indeciso, non ho le tue conoscenze giuridiche... solo mi colpisce che alla parola "dottore" in Italia si dia tanta importanza. Io mi iscrissi alla specialistica forse solo per poter definirmi "dott.ssa" perché avevo il complesso da mancanza di laurea... Dimmi te se questo é normale.... Francamente ora, che mi chiamino dottore o no, non mi interessa proprio nulla... Ma "ai miei tempi", non venivamo considerati "veri" laureati e molti di noi ne soffrivano! Adesso il titolo é l'ultimo dei miei pensieri :mrgreen: Amici italiani mi dicono anche che in Spagna "la laurea non ha valore legale": questo che vorrebbe dire? :shock:
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Re: questione di... nome (?)

Messaggio da indeciso »

Beh, se era solo per la parola "dottore" (che è una qualifica accademica correlata al titolo di studio, non un titolo di studio in sé) avresti potuto convertire il tuo titolo finale di scuola diretta a fini speciali in diploma universitario (fu consentito, se non ricordo male, dall'anno accademico 1991-1992 per i tre o quattro anni successivi). Si pagavano solo le tasse e i contributi, senza dover sostenere alcun esame. Poi, una volta varata la riforma universitaria, ti saresti potuta iscrivere in uno di quegli atenei che convalidano tutto (ad esempio Cassino o Bologna) e ti saresti presa la laurea senza sostenere esami (ma avresti dovuto discutere la tesi e, se non presenti nelle carriere precedenti, svolgere le idoneità linguistiche e informatiche, comunque normalmente esonerabili con degli atestati esterne).

Il valore legale è la capacità, la proprietà per cui il titolo di studio produce effetti giuridici in capo al suo titolare (cioè colui che lo ha conseguito ovvero la persona a cui è stato rilasciato honoris causā). Esiste in tutti i paesi di tradizione giuridica romanistica (diritto positivo, ovvero civil law, per dirla con gli anglo-americani) e che mi risulti la Spagna in questo non fa eccezione.
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Re: questione di... nome (?)

Messaggio da pallaspina »

Infatti non capisco... me lo disse un'amica giurista che vive anche lei in Spagna, riferito al fatto che qui (a differenza che in Italia) é permesso iscriversi a piú di un corso universitario alla volta. Lei quindi mi disse: "É perché in Spagna la laurea non ha valore legale". La prossima volta le chiederó che voleva dire...
Riguardo all'altro discorso, é difficile ragionare sul "se". Se fossi stata furba, in realtá mi sarei iscritta dritta filata a psicologia, a quest'ora sarei giá anche psicoterapeuta e avrei il mio studio libero professionale. Non avrei mai pensato a quello che sarebbe successo "dopo", con tutto il discorso delle convalide etc. (in realtá pensavo di entrare in qualche dottorato per scappare dal lavoro in Comune e quindi l'anno integrativo di Trieste mi sembrava una strategia veloce.... veloce sí, facile per niente :shock: ) :mrgreen:
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Re: questione di... nome (?)

Messaggio da indeciso »

pallaspina ha scritto:Infatti non capisco... me lo disse un'amica giurista che vive anche lei in Spagna, riferito al fatto che qui (a differenza che in Italia) é permesso iscriversi a piú di un corso universitario alla volta. Lei quindi mi disse: "É perché in Spagna la laurea non ha valore legale".
Francamente non vedo alcuna relazione tra le due cose.
La normativa italiana ultimamente ha aperto alla frequenza contemporanea di più corsi (nello specifico, è stata regolamentata quella di conservatorio e università insieme – prima si poteva fare, ma il conservatorio oggi ha status di istituto di istruzione superiore e i titoli che rilascia sono equiparati a lauree, quindi in teoria non si poteva più fare – e quella di corso di specializzazione di area medica e dottorato); questo non vuol dire che i titoli relativi non abbiano più valore legale. Il valore legale e il divieto di iscrizione contemporanea sono riconducibili a normative distinte e separate. Certo che in assenza di valore legale non avrebbe senso vietare l'iscrizione contemporanea a più corsi pur in assenza di obbligo di frequenza, ma dal momento che il valore legale esiste non è per questo che l'iscrizione contemporanea è fuorilegge, in assenza di una disciplina specifica, posto che tutto ciò che non è espressamente vietato è sempre lecito.
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