Valutazione del carico di lavoro nel servizio sociale

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Nazg
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Valutazione del carico di lavoro nel servizio sociale

Messaggio da Nazg »

Recentemente sto partecipando ad una formazione volta a capire meglio il modo di lavorare del nostro gruppo di assistenti sociali, con l'obiettivo di valutare il carico di lavoro, partendo dalla casistica.

Sto cercando materiale bibliografico attinente a questo, perchè immagino che esperienze come queste siano già state affrontate e sarebbe peccato non tenere in considerazione di questo patrimonio professionale.
Qualcuno ha del materiale?
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Re: Valutazione del carico di lavoro nel servizio sociale

Messaggio da ugo.albano »

Ciao, Marianna.

Nel 2005 su uno dei numeri di "dimensione sociale" (era la rivista di Socialia, società scientifica del SUNAS) ci fu un bell'articolo di un collega ligure sul tema. Si rifaceva ad un accordo tra aa.ss. e Comune di Genova per la misurazione del carico di lavoro.

L'articolo mi piacque tanto sul lato dell'impostazione del metodo.

Il problema è più che mai attuale, nei servizi oggi spesso c'è grante incapacità a misurare i carichi, siamo ancora fermi al "numero di fascicoli"......

Saluti cari.
Ugo Albano

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Re: Valutazione del carico di lavoro nel servizio sociale

Messaggio da Nazg »

Ciao Ugo,
hai per caso una copia di questo articolo?
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Re: Valutazione del carico di lavoro nel servizio sociale

Messaggio da ugo.albano »

Dovrei averlo.

Te lo fotocopio e te lo mando.

Dammi il tuo indirizzo per mail: ugo.albano@libero.it

O se hai un fax....
Ugo Albano

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Re: Valutazione del carico di lavoro nel servizio sociale

Messaggio da Nazg »

Grazie Ugo, fax ricevuto!
Articolo molto interessante ;)


Effettivamente come dici tu c'è sempre il rischio di fare la conta e attribuire ad ogni assistente sociale un tot di abitanti o un tot di utenti.
E' necessario però, se si lavora in territori più ampi (esempio gli Ambiti sociali in Friuli V.G.), tenare di organizzare i servizi in modo tale che si raggiunga da un lato maggiore equità nella distribuzione del carico di lavoro e dall'altro lato si costruisca un modo di lavorare più efficiente.

Mi pare importante partire dai casi per trovare di modi di valutare la loro intensità: sappiamo infatti che il lavoro sociale ha mille sfumature.
Dall'altro lato non possiamo neanche nasconderci dietro a frasi del tipo "è troppo complesso valutare perchè ci sono troppe variabili".
Bisogna trovare un giusto equilibrio tra numeri/statistiche e l'unicità dei casi.
Ci saranno dei criteri che possono aiutarci ad avvicinarci in qualche modo all'obbiettivo?
Ci saranno delle modalità più scientifiche di altre per rappresentare il lavoro sociale?

Cosa ne pensate?
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Re: Valutazione del carico di lavoro nel servizio sociale

Messaggio da ugo.albano »

Il bello del pezzo è quello di aver tracciato un metodo.

Il concetto-base è quello dell'intensità assistenziale. Ci sono casi che richiedono un'ora al mese, altri che ne richiedono di più.

Questo significa che sa a noi capire COSA fare in un caso e CODIFICARE il tempo necessario, pur giungendo ad una STANDARDIZZAZIONE.

Faccio un esempio. Se in un caso di semplice difficoltà economica io concordo con i colleghi una cosa del tipo: primo colloquio mezz'ora, visita domiciliare un'ora, progetto sociale un'ora, vuol dire che lo standard è di due ore e mezzo a caso. Questo però dev'essere condiviso. Altrimenti c'è chi ci mette dieci ore (perchè magari fraintende il senso dell'intervento) e chi mezz'ora, risolvendo tutto nella "domandina" allo sportello sociale.

Quindi nella questione dei "carichi di lavoro" ci sono i contenuti. Questi spesso non vengono definiti dai colleghi, o al massimo ognuno definisce i suoi; fatto sta che poi l'Organizzazione li impone, spesso al "ribasso".

L'effetto è un'immagine poco edificante del lavoro di aiuto. Quindi stabilire contenuti certi e condividerli è la STRADA MAESTRA per recuperare un'IMMAGINE PROFESSIONALE.
Ugo Albano

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Re: Valutazione del carico di lavoro nel servizio sociale

Messaggio da Elena Rimi »

In base alla mia esperienza penso che il carico di lavoro sia dovuto in parte per: carenza del personale, in ogni comune è previsto 1 assistente sociale ogni 5000 abitanti ma spesso e volentieri nn è così;
confusione di ruoli (ki fa cosa), tendenza a delegare i compiti (questo nn è compito mio);
una leadership paternalistica potrebbe rallentare il lavoro perché nn affida i compiti totalmente ai dipendenti ma ha bisogno di revisionare sempre tutto.
Poi, altro aspetto importante, dovrebbe esserci maggiore collaborazione tra il settore sociale e quello sanitario per definire i compiti di ciascuno evitando diverbi che rallentano il lavoro.. Penso che sia un tema molto importante, che, ogni organizzazione dovrebbe affrontare, cercando di evitare di trasformare il lavoro sociale in ufficio di disbrigo pratiche, dove l'obiettivo principale è quello di fare tutto in minor tempo per evitare il carico, dimenticando la vera natura del nostro lavoro... Empatia, ascolto, rispetto dei tempi dell'utente.. se trascurati si rischia di non leggere il reale bisogno e di non intervenire in modo efficiente.
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Re: Valutazione del carico di lavoro nel servizio sociale

Messaggio da pallaspina »

Salve a tutti, vi sintetizzeró un'esperienza di quando lavoravo come a.s.. Purtroppo peró non ho materiale da condividere né contatti in quanto non sono piú in Italia. Per farla breve, utilizzammo una metodologia ideata da un gruppo di colleghi che si erano ispirati al metodo del lavoro di rete della Sanicola. Mea culpa, allora ero molto giovane e inesperta e non approfondii il metodo con cui erano arrivati a ció a partire dai testi, peró a ogni prestazione era stato dato un peso: consulenza psico-sociale, indagine TM, adozione, affidamento ecc. Le voci erano tantissime, e questo doveva garantire piú possibile omogeneitá, nel senso per esempio: se io avevo 60 casi, 30 dei quali con TM e 30 senza, il "punteggio" finale sarebbe risultato diverso da chi aveva magari piú casi ma senza TM, per fare un esempio. Fu un lavoro molto lungo, dovemmo aprire tutte le cartelle e censirle e poi un gruppo di colleghi si occupó di fare i "conteggi" finali. I risultati furono incredibili. In pratica venne fuori che, volendo lavorare metodologicamente bene, ognuno di noi lavorava per due, quando non addirittura per tre. Anche perché vi erano voci che davano punteggi "altri": per esempio, chi coordinava progetti trasversali alla casistica, aveva un punteggio aggiuntivo... Questo chiaramente non voleva dire che tutti lavorassimo al top, anzi voleva dire che lavoravamo tutti in maniera sottodimensionata rispetto alle reali esigenze della casistica (ovvero, se per il metodo un colloquio richiedeva mettiamo due ore, comprendendo colloquio, analisi della domanda e registrazione, chiaramente per mancanza di tempo tutti correvamo a fare colloqui super rapidi...). Ripeto, quello che non ho mai capito é come fecero i colleghi ad arrivare a "ponderare" il tempo di ogni intervento in relazione alla metodologia, peró avevano fatto una formazione in materia.
Conteggi come "un a.s ogni 5000 abitanti" servono a poco, in quanto esistono variabili come metodi di lavoro, collaborazione o meno di equipes, e poi per esempio io avevo il territorio piú due progetti slegati dalla casistica e vi posso dire che seguirli bene mi avrebbe richiesto lavorare quasi a tempo pieno solo su quelli...
Purtroppo tutto questo lavoro non portó a nulla: pensare che l'amministrazione valutasse di assumere piú a.s. era pura utopia anche 10 anni fa... invece portó che si crearono dinamiche brutte fra colleghi, ovvero i "doppi" (quelli che risukltavano lavorare per due) cominciarono a ribellarsi contro i "giusti" (quei pochi che avevano un carico, pare, giusto) per non parlare dell'acredine dei tripli... insomma, solite dinamivhe grette da assistenti sociali... :twisted: :twisted:
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Re: Valutazione del carico di lavoro nel servizio sociale

Messaggio da ugo.albano »

il problema non è il "carico", bensì la "qualità".

Non basta dire "x casi", bisogna che iniziamo a mettere in evidenza "x situazioni che si risolvono" oppure "x evoluzioni verso determinati obiettivi".

Le metodiche ci sono, basta solo applicarle, ci vuole però una "testa". Il problema è infatti in Italia una dirigenza che non è abituata (direi "formata") a "misurare" l'efficacia di un'organizzazione.

Secondo me è un problema "italiano". Io quando lavoravo in Germania, per esempio, avevo un sistema di monitoraggio: quanti casi in carico; quanti casi intensivi; disgiunzione tra "casi" ed "interventi"; ecc. Da quando lavoro in Italia nessuno mi chiede cosa faccio. Mi ricordo che i primi anni in Italia facevo dei report alla dirigenza in cui dimostravo l'attività annuale, con tanto di grafici. Nessuna risposta. Una volta un dirigente mi disse "ma non hai proprio che c... fare?" e mi caricò di altro lavoro.

Insomma, se in Italia oggi (2012) il mondo del lavoro è ancora tayloristico, è normale stare lì ancora a parlare dei carichi, come se fossimo somari da soma. Insomma, se il numero di persone seguite è come il numero di bulloni avvitati, ciò fa capire in che cavolo di Paese viviamo.

Ma è un problema pure del "pubblico". Se io penso ai report della Caritas, in cui annualmente quest'ente (di volontari) dice quante persone hanno seguito e con quali prestazioni e al "vuoto" del settore pubblico, ciò conferma la "capacità manageriale" di chi ci guida.

Io, in tutto questo casino, DIFENDO I COLLEGHI. Non c'è chi lavora di più e chi di meno: ciò, solo a dirlo, è offensivo. Anzi, se pure c'è chi s'imbosca, ciò non è un "fatto privato", ma "economico": è un'organizzazione che non sa usare le persone.

Quel che manca, come detto, è un "modello efficace" di lavoro sociale. Se il medico, per esempio, sa che per un'appendicite ci vogliono x ore ed x spago di sutura ed x mg di antibiotico ed x giorni di degenza, noi DOVREMMO DIRE CHIARAMENTE cosa ci vuole per PORTARE A SOLUZIONE UN CASO SOCALE: x colloqui, x risorse, x obiettivi.

Lo studio che segnalavo a Marianna sopra infatti questo fa. Ma dipende da noi, non dai dirigenti. Anzi, con questi dirigenti non aspettiamoci stimoli. STA A NOI dire alla gente "per fare un buon lavoro sociale ci vuole questo, questo e questo". Il resto (le chiacchiere) ce le facciamo fritte......

Troppo forte come provocazione???
Ugo Albano

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