Domanda provocatoria

didina
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Domanda provocatoria

Messaggio da didina »

Buona sera a tutti i colleghi, vorrei farvi una domanda provocatoria, ovvero: dove risiede la "scientificità" della nostra professione? In questi ultimi tempi sento sempre più parlare di scienza del servizio sociale, ma mi chiedo spesso: cos'è che connota la nostra professione come professione scientifica? Perchè ad esempio se due medici si ritrovano di fronte a dei sintomi raccontati da un paziente daranno nella maggior parte dei casi la stessa diagnosi..Nel nostro agire professionale invece molto è spesso lasciato al buon senso, tanto è vero che professionisti diversi agiscono su un caso in modo diverso...Cos'è quindi che definisce il nostro agire come scientifico?
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ugo.albano
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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da ugo.albano »

Cara Didina,

nel 2004 presentammo i risultati di una ricerca biennale proprio su questo tema. Fu svolta allora da Sociali, la Società Scientifica del SUNAS, con diversi filoni di ricerca.

Nella presentazione, che avvenne a Roma con la pubblicazione della ricerca (stampata in un libro, per capirci), venne posta alla professione un'ipotesi di "consenso", tra cui pure la definizione scientifica del servizio sociale. Devo dire che l'importanza della cosa non fu colta, in primo luogo dall'Ordine Nazionale, allora (clamorosamente) assente. Ma ciò, per mia opinione, fu un importante indicatore: se l'ON non capisce l'importanza di "punti fermi" (come la definizione scientifica), capirai che scientificità c'è alla base.

Ora, di conseguenza, io posso capire tutti gli agiti "parascientifici" dei colleghi, il problema però dovrebbero porselo ALMENO i colleghi-docenti. Ma non vedo movimenti........

Tornando al tema, nella ricerca io curai tutta la parte quantitativa, rispetto alla scientificità usci fuori un decalogo che è riportato nella pubblicazione, che invito a consultare.

Comunque (a memoria) il "servizio sociale scientifico" ha questi requisiti:

Prassi derivante da teoria condivisa;

Dimostrazione di efficacia e riproducibilità;

Modelli operativi chiari e standardizzati;

Dinamica di miglioramento continuo della prassi;

Condivisione tra i membri degli enunciati scientifici.

Insomma, la tua "domanda provocatoria" è un bel tema.
Ugo Albano

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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da JJJ »

Ciao Didina,
definirei la domanda da te posta più che provocatoria, una riflessione sensata e quanto mai opportuna in questo preciso momento storico, soprattutto se di Storia della Professione in Italia si vuole parlare. Dal basso della mia esperienza mi sento tuttavia di poter rispondere alla tua domanda con argomentazioni, forse poco autorevoli, ma senz'altro realistiche. La "Scientificità" costituisce l'identità stessa della Professione e non un accessorio o un orpello decorativo come ci vogliono/si vuole far credere...nel senso che, l'Operatività dell'Assistente Sociale è, in tutte le sue fasi un implementazione pratica di un metodo scientifico unitario che è tale porprio perchè basato su saperi e conoscenze scientifiche oltre che su metodi (vd. Mod. Teorici in proposito) ben precisi che consento un lavoro scientifico, verificabile, socializzabile, controllabile, trasmissibile. Dunque le peculiarità scientifiche della Professione esistono e come se esistono; Certo è che, in una analisi pragmatica necessaria adesso più di ieri sugli Assistenti Sociali, alla fine della fiera tutto ciò non avviene (e quì i colleghi soprattutto quelli della generazione precedente potranno anche criticare o dissentire dalla mia affermazione, ma questa è ne più e ne meno che la realtà dei fatti). Dal basso della mia esperienza, proprio perchè ancora non esercito la professione ma, fresco di abilitazione, ti posso dire che sono personalmente (e questa è anche opinione diffusa del 70% dei miei colleghi) sconciertato dalla realtà dei Comuni/Consultori/Tribunali/Aziende Sanitarie dove negli Uffici di Servizio Sociale operano "Dottori" (non si sà poi a che titolo, visto che per Legge è tale solo il Possessore di un titolo di Laurea) in regime pressappochistico e scarsamente scientifico -appunto come dici tu nella logica del "buon senso". Ma il "difetto" è congenito, nel senso che:noi stessi Laureati in Servizio Sociale siamo stati formati nelle università, proprio dai docenti stessi di SS nell'ottica di una professione sostanzialmente filantropica e umanitaria che opera nella discrezionalità del metodo compassionevole della "pacca sulla spalla"...ma questo non solo nelle università...nel 2010 si è tenuto a Reggio Calabria un Workshop del CNOAS vuoto di contenuti e di significato, dove, ho piacevolmente rivisto la mia Tutor del primo tirocinio, la quale, ha giustamente osservato che gli interventi erano puramente teoretici ed anacronistici. Tirando le somme finchè continueremo a pensarci come compassionevoli dame di carità non andremo da nessuna parte ed in tal senso è sensata la tua domanda:"dove risiede la "scientificità" della nostra professione?"; in ultima personale analisi credo che piuttosto che "infarcire" la professione di termini, di teorie sociologiche sterili, ci dovremmo forse ancora una volta interrogare sul: Chi siamo? dove siamo? e soprattutto: dove vogliamo andare?
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chiara79
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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da chiara79 »

Ritornando alla domanda iniziale, ovvero "dove risiede la scientificità di questa professione?" mi sento di dire che la domanda è mal posta. Nel senso che oggi è completamente superato l'approccio positivista della scientificità e obiettività assoluta nelle scienze, ma c'è piuttosto il riconoscimento dell'indeterminazione, anche in discipline "forti" come la matematica o la fisica...
Nel lavoro sociale, in particolare, ma anche in molti altri ambiti, si lavora in relazione con le persone e il successo o l'insuccesso dell'intervento di aiuto dipende in larga misura da questa interazione e dalla comune volontà di operatore e persona, nonché dall'interazione di molti altri fattori. So che questo può fare paura, anche io mi sono posta la tua stessa domanda all'inizio dei miei studi, ma poi ho capito che questo è un punto che bisogna accettare per intraprendere questa professione. Non abbiamo le soluzioni in tasca, ma le costruiamo man mano assieme alle persone che vivono delle problematiche e che, sperimentandole, le conoscono anche meglio di noi.
La questione dei modelli, dei metodi e delle tecniche, quella è tutta un'altra questione... nel senso che ammessa l'indeterminatezza del lavoro sociale, è importante destreggiarsi bene con dei modelli e dei metodi efficaci a condurre la relazione, conoscendo le finalità e gli obiettivi della professione e dell'organizzazione in cui si lavora e orientando la relazione verso una direzione che possa portare a una soluzione ottimale per la persona.
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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da JJJ »

Scusami Chiara ma la questione da te posta è sostanzialemnte contraddittoria, nel senso che, il paradigma positivistico proprio delle scienze fisiche e naturali, come la matematica, la fisica e via discorrendo, è per sua stessa natura inapplicabile alle scienze sociali come Sociologia, Psicologia etc; la quali formano le basi per il Servizio Sociale in quanto Scienza Sociale Applicata. Si pensi ad esempio al concetto stesso di "misura", ricorrente nella Psicometria e nella Sociometria, che è, totalmente differente in termini tecnici rispetto al medesimo concetto nelle scienze matematiche. Ciò premesso "l'obiettività" nel Lavoro Sociale richiede appunto l'osservazione di determinate variabili ovvero l'applicazione pratica dei Modelli Teorici d'intervento, che, non sono costruzioni teoretiche asettiche, ma vanno opportunamente intercalate, nel caso specifico, infatti, questo si richiede all'Assistente Sociale quando si parla di "Autonomia Tecnico-Professionale...". Questi modelli non dettano norme rigide all'Assistente Sociale ma ne orientano la pratica professionale, sta alla competenza del A.S. operare tutte le valutazioni ad hoc. Lo stesso si dica per i contenuti Valutativi dove una corretta diagnosi sociale (e questo lo diceva già Mary Richmond) osserva criteri ben precisi. La stessa "empatia" che si richiede all'operatore è una interpretazione razionale dei fatti ed una comprensione del vissuto problematico della persona coinvolta in essi, niente di più e niente di meno. Concludendo, la soluzione o intervento viene costruita insieme all'utente esclusivamente in merito alle risorse (umane, professionali, istituzionali, informali etc.), ai mezzi, ai modi ed ai tempi; ma non nelle valutazioni del caso e nell'interpretazione dei fatti. La perizia prodotta da un operatore, che come nel senso comune lo si intende, basa le sue opinioni sul proprio discrezionale buon senso/istinto, è completamente priva di una qualsiasi utilità oltre a non essere tecnica. Se l'Assistente Sociale, pensa a se stesso come un volontario o un accompagnatore ha completamente travisato la mission e la vision della Professione. Ripeto: il "metodo della pacca sulla spalla" non ci porterà da nessuna parte! e se continueremo su questa strada in un futuro non molto lontano la necessità di un Assistente Sociale verrà meno poichè la discrezionalità, la compassione ed il buon senso non sono competenze professionali.
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chiara79
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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da chiara79 »

Ciao JJJ,
sono certa che se rileggerai quello che ho scritto nel post precedente capirai che non ho mai promosso quella che tu chiami il "metodo della pacca sulla spalla". Anzi, ho detto proprio il contrario, che che la conoscenza dei metodi, dei modelli e di tecniche efficaci è molto importante per destreggiarsi in un terreno incerto come la relazione di aiuto.
Ma se le persone ricercano la scientificità e l'obiettività nel lavoro sociale nel senso del processo lineare "osservazione-diagnosi-trattamento-soluzione" e regole sicure da applicare che portino a soluzioni certe ideate dal professionista, non avranno molte soddisfazioni e inizieranno a chiedersi dov'è risieda la scientificità di questa professione rispetto alle altre professioni.
Le teorizzazioni dei più recenti approcci del servizio sociale, come quello di rete (vedi Folgheraiter), dice in sostanza che l'assistente sociale è responsabile del processo di aiuto e lo orienta grazie a modelli, metodi e tecniche, ma sa di non avere a priori certezze su quale siano le specifiche azioni che porteranno al miglioramento delle singole situazioni proprio perché ogni situazione è diversa e la soluzione va costruita assieme alla persona e vanno considerati tutti gli elementi che possono influire positivamente o negativamente nello sviluppo delle azioni da intraprendere. L'autonomia tecnico-professionale della professione, per me, risiede in questo. Altrimenti il servizio sociale non esisterebbe e basterebbe uno sportello in cui gli impiegati danno "soluzioni pronte" alle persone con determinati problemi, erogando servizi sulla base di regole rigide definite dall'ente.
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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da marian »

Didina:
domanda assolutamente pertinente. LE cosiddette "scienze" del servizio sociale in realtà sono un'etichetta vuota, in quanto si dovrebbe distinguere tra scienze sociali e servizio sociale. La differenza è chiara: la sociologia è una scienza, in quanto attributiva di epistemologie fondanti, orientata ad approcci che prevedono metodi di analisi, di ricerca, di osservazione, di rielaborazione, tecniche di rilevazione rigorose, confronto interdisciplinare tra studiosi del settore (che non significa "condivisione" - vedere a tal proposito le divergenti posizioni tra la teoria di analisi della società proposta da Luhmann e le tesi proproste dal notissimo sociologo italiano Donati - ma significa certamente reciproca e costruttiva diffusione delle conoscenze) tra studiosi ed esperti e diffusione dei contributi scientifici della disciplina. Il servizio sociale è un servizio. Cioè prima di tutto un modello operativamente orientato a produrre risultati. Possiamo concordare sull'evidenza che i modelli operativi hanno riferimenti teorici, sono ispirati a contenuti etici, prevedono e producono conoscenze, ma limitatamente alle dimensioni che coinvolgono e ai sistemi di comunicazione che interagiscono generando feedbacks. Il servizio sociale non è una scienza, ma la scienza contribuisce ad arricchirne i fondamenti, le metodologie, gli approcci, le tecniche e infine la capacità (molto scarsa ad oggi) di diffusione delle proprie "ragioni e modi d'essere".
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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da JJJ »

Cari Colleghi,
occorre a questo punto, secondo il mio modesto parere, fare chiarezza sul concetto stesso di "Scienza".
Se per Scienza vogliamo intendere la fisica nucleare ovviamente è un discorso, se invece, vogliamo parlare di Scienze Sociali è completamente un altro. Le Scienze Socili vengono distinte in:
- "Speculative" quando, le finalità ultime sono incentrate sullo studio, l'analisi, l'osservazione di fenomeni determinati/individuati e sulla conseguente concettualizzazione di teorie generali > La Sociologia è appunto una Scienza Sociale esclusivamente "speculativa".
- "Applicate" quando il fine ultimo, non è la sola produzione di costrutti teorici generali, ma anche l'elaborazione di strategie volte all'intervento concreto, in risposta al fenomeno osservato, ecco il "metodo"; tali scienze operano in unità operative/presidii regolamentati/istituzionalizzati, ecco il "servizio" > La Psicologia ne è un chiaro esempio, così come, anche se in termini diversi e più generali, il Servizio Sociale; formano parte "integrante" di queste ultime settori di studio osservazione ricerca, così come settori d'intervento.
Il fatto che tutto ciò venga sistematicamente misconosciuto "alla radice" e dagli stessi formatori non significa che non esista. Se per il Servizio Sociale si considera, il termine " Scienze", una mera etichetta, ripeto: SONO STATE TRAVISATE COMPLETAMENTE LA "MISSION" E LA "VISION" DI UNA PROFESSIONE.
marian
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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da marian »

JJJ:
Giusto, facciamo chiarezza:
“La sociologia è piuttosto scienza pratica che scienza speculativa, e per conseguenza [è] necessario non confondere le reciproche legittime autonomie tra le varie scienze dell’uomo. (…) L’oggetto della sociologia è: I) (…) l’uomo in quanto agente sociale concreto ossia determinato (nel senso di specifico, individuato) e determinante delle relazioni sociali e II) (…) il prodotto delle azioni umane, cioè le forme dell’organizzazione sociale (strutture e istituzioni sociali) storicamente condensate. Per restare sul terreno scientifico (…), si può dire che la conoscenza sociologica ha come oggetto il fenomeno sociale umano in quanto realtà inter-relazionale e utilizza il metodo empirico che si rifà in primo luogo all’osservazione diretta ed indiretta ed elaborando poi i dati per via statistica [ovvero] con tutti i metodi che permettono il trattamento quantitativo di variabili sia parametriche che non” (P. Donati, “Introduzione alla sociologia relazionale” Angeli 2004, pp. 117- 118).
“La sociologia è nata e si sviluppa sempre, come ogni altra scienza che ha per oggetto le istituzioni e i processi culturali della vita umana, in relazione a punti di vista pratici. I fini della ricerca sociologica, anche quanto sono puramente conoscitivi, muovono sempre da punti di vista pratici che giocano da premesse della ricerca. In tal senso la sociologia aspira da sempre ad essere una scienza pratica (…); anzi, oggi tende a divenire addirittura una “disciplina clinica” (analogamente alla medicina) applicata naturalmente all’ordine sociale. (…) Come scienza conoscitiva essa si basa: a) su metodologie proprie; (…) come scienza pratica essa non offre “leggi sociali” (…) come previsione di un esito necessario di certi processi. Può però permettere di operare nel senso di avvertire: a) delle scelte di valore che un soggetto agente può fare; b) delle (probabili) conseguenze di un certo corso d’azione” (Ib. pp. 191-192).
“Entrambe le scienze [psicologia e sociologia] pongono in risalto la relazione interpersonale; [ma] dove si colloca rispetto a queste due superdiscipline il lavoro sociale? L’ipotesi è che si centri nel punto di intersezione tra le due scienze, laddove esse si interfacciano: un pezzo di “sapere” che emerge dalla combinazione tra le scienze dell’umano e le scienze del sociale. Il lavoro sociale ha pertanto una base interdisciplinare nel senso che costitutivi di esso possono dirsi entrambi i filoni scientifici fondamentali che studiano la realtà dell’uomo. E’ naturale vedervi un chiaro sbilanciamento a favore delle scienze sociali, dato che il lavoro sociale riguarda appunto il sociale e questo dovrebbe voler dire qualcosa. Storicamente il lavoro sociale è stato colonizzato dalla psicologia, ma ciò rappresenta un disorientamento che andrebbe in qualche modo ricomposto sul piano intellettuale” (F. Folgheraiter “Teoria e metodologia del servizio sociale. La prospettiva di rete”, Angeli 1998, pp. 58-59).
Autori delle citazioni: P. Donati, Professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Laurea triennale in Sociologia e docente di Sociologia c. a. e Sociologia del benessere (Laurea magistrale). Coordinatore del Dottorato di ricerca in Sociologia e responsabile del Centro Studi di Politica Sociale e Sociologia Sanitaria (CEPOSS). Ha svolto attività didattica come docente, in diverse Università. E' stato Direttore del Corso di Perfezionamento in Sociologia Sanitaria, e docente nella Scuola di specializzazione in Sociologia Sanitaria e in Scuole di Servizio Sociale. Ha tenuto lectures nelle seguenti università estere: Università dell'Illinois a Chicago, Harvard, Stirling, Ginevra, Graz, Parigi, Warwick. Ha partecipato a varie ricerche nazionali e internazionali, nell'ambito dell’ Unione Europea. Negli ultimi anni ha diretto ricerche nazionali finanziate dal CNR, dal MIUR, da singoli Atenei, dal Governo centrale, da enti pubblici regionali e locali, e da vari enti privati quali Fondazioni e Organizzazioni di Terzo Settore. Ha fondato e dirige la Rivista “Sociologia e Politiche Sociali” (Angeli edit., MI).
F. Folgheraiter: docente di Metodi e tecniche del servizio sociale Università di Trento.
Chi scrive ha invece un CV modestissimo: sociologa magistrale laureata all’Università di Bologna, ho conseguito poi la laurea specialistica in Programmazione e politica dei servizi sociali all’Università di Pisa; abilitata alla professione di assistente sociale specialista, sono iscritta all’Ordine degli assistenti sociali della Toscana. Svolgo la libera professione come consulente in progetti europei per l’inclusione sociale e lavorativa, come docente formatore in politiche sociali e metodologia del lavoro sociale e come consulente per la prevenzione dei rischi nei luoghi di lavoro (con formazione specifica). Credo nell’interdisciplinarietà come contributo essenziale alle scienze dell’uomo, e credo che il servizio sociale - e con esso il lavoro sociale che ne realizza l’essenza - rappresenti oggi uno snodo essenziale nella costruzione di strategie di fronteggiamento del cambiamento epocale che attraversiamo, i cui effetti non sono ad oggi ancora prevedibili. Inoltre, nel lavoro sociale si può ovviamente riconoscere una valenza scientifica, in rapporto a quell’”apparato concettuale e i metodi per riprodurlo che permette alla varietà di esperti di aiuto che realizzano in pratica il lavoro sociale (…) di agire sulla base di un senso loro proprio”, ed inoltre concordo con Folgheraiter anche sull’affermazione “che la sociologia fornisca strumenti conoscitivi essenziali per il lavoro sociale o anche che la sociologia sia l’architrave epistemologica senza la quale il lavoro sociale non potrebbe reggere, si può dire, ma questo non significa che [la sociologia] fornisca tutto”. E infatti abbiamo prima parlato di interdisciplinarietà. Dunque, “anche ammesso che [il lavoro sociale] sia - o possa essere - una scienza, il lavoro sociale dovrebbe comunque definirsi come scienza “pratica-pratica (…), una scienza applicata che vola rasoterra lambendo le situazioni contingenti” (Folgheraiter, cit., pp. 43-44-45). Tuttavia, la scienza è scienza, il servizio è servizio: questo non significa affatto sminuirne o degradarne mission, obiettivi, metodologie e cultura. Significa soltanto riconoscerne la specificità e in questo modo contribuire, modestamente e nel mio limitato campo d’azione, a sostenerne e valorizzarne il portato sociale e il contributo culturale. Maria Antonietta Giulietti
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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da JJJ »

Gentile Marian,
trovo le dissertazioni da lei poste, sicuramente ben argomentate ma forse esulano da quella che è la natura della discussione originaria, se lei ha letto i contributi precedenti in alcuni di essi si parla di "indeterminatezza" ed in alcuni altri di Paradigmi Scientifici che come lei mi insegna esulano dall'assetto strutturale e dalle finalità delle Scienze Sociali; tuttavia, il punto non è definire il raggio d'azione dell'una piuttosto che dell'altra disciplina ma, se lei ha avuto modo di leggere i miei precedenti interventi, la mia opinione, che, ripeto, è ampiamente condivisa sia da profani che di quanti si avviano ad essere o sono già "addetti ai lavori" critica negativamente, un atteggiamento di fondo, un modus operandi, un pensare ed un pensarsi Assistente Sociale (che non sto quì a ripetere) insito nella Ns. Comunità Professionale che, non fa altro che deteriorare e gettare discredito sugli Assistenti Sociali. Vede, nonostante tutti i Folgheraiter e i Donati & Co. che possano dissertare su l'un fatto piuttosto che sull'altro, la realtà dei fatti non cambia, la percezione che di noi si ha e che noi stessi Neolaureati/Abilitati abbiamo, fomentata ed incentivata da quanto precedentemente esposto, rimane invariata. In Seconda istanza dal basso della mia esperienza e delle mie modeste conoscenze, se mi consente, vorrei porle alcune domande: non trova che un Servizio, proprio perchè un semplice Servizio non abbia bisogno ne di personale Laureato ne di un Ordine Professionale ne tantomeno di Docenza Specializzata e men che meno di norme specifiche? non trova, che, per le finalità dunque richieste, visto che di Servizio parliamo, siano sufficenti il corso piuttosto che il diplomino o l'attestato di uno dei tanti corsi, che ancora si vedono in giro? Chi/che cosa e come detrminerebbe la differenza tra l'Applicato di questo "Servizio" (visto che di Professionista non si potrebbe parlare; perchè cosa professa?) ed un normale Applicato di Segreteria Amministrativa (con tutto il rispetto per questi ultima categoria)? Percui, sarebbe opportuno che i Sociologi continuiassero a fare i Sociologi, gli Psiologi idem e lasciassero "il Servizio" all'ultimo arrivato sulla piazza.
Cordialmente
Giuseppe
marian
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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da marian »

Gentile Giuseppe,
non credo davvero che per svolgere la professione di assistente sociale sia sufficiente un livello di studi inferiore a quello universitario, anzi: la complessità del lavoro sociale oggi è tale che secondo me il curriculum delle discipline dei corsi di laurea dovrebbe essere ulteriormente arricchito da insegnamenti interdisciplinari (psicosociologia delle organizzazioni, per esempio). Il servizio sociale non è certamente un lavoro da “applicati”: sono richieste conoscenze, abilità e competenze tali da gestire dimensioni correlate tra soggetti e sistemi, e saper osservare criticamente il proprio stesso modo di operare e di relazionarsi. Non la annoierò oltre, penso che sappia quanto me di cosa parliamo quando affrontiamo il tema della professionalità dell’assistente sociale: penso che il diffondersi di discredito sulla professione sia forse anche in parte dovuto al fatto che gli assistenti sociali sono sempre più percepiti come “distanti” dai territori, “chiusi” negli uffici a confrontarsi “solo” con quella parte della cosiddetta utenza (bruttissimo termine) che volontariamente si reca a chiedere aiuto. Ma penso anche che dovremo noi stessi sforzarci di affermare una “nuova professionalità”, un legame più profondo e forte con i territori e le popolazioni di riferimento (rivolgendo l'attenzione anche ai cosiddetti "invisibili") e riversare fuori dalle mura (a volte rassicuranti e protettive) passione e competenza. In pratica, smetterla di “aspettare i clienti a piè fermo a bottega”, parafrasando il professor Giovanni Pieretti. Ma per poter realizzare un passaggio simile dovremo convergere insieme e con decisione verso un modello nuovo di assistenza sociale, che dovrebbe però essere supportato da politiche sociali a sostegno di un welfare avanzato… Ad oggi, vediamo un welfare sotto attacco continuo, in una condizione di impoverimento e svilimento nella quale gli assistenti sociali per primi vengono travolti. Questo potrà mai indignarci abbastanza da far sentire la nostra voce prima che il sistema di protezione sociale e di assistenza si inabissi definitivamente?... Con altrettanta cordialità. Maria Antonietta
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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da Nazg »

Quanto crediamo nella professione di assistente sociale e nella sua evoluzione?
Quanto ci fa comodo arenarci nella quotidianità lavorativa senza vedere oltre?
Cosa trasmettiamo alle generazioni di tirocinanti che passano nei nostri servizi?
Perchè molti colleghi continuano a ripetere "la teoria è una cosa la prassi è un'altra"?
Quanto tempo dedichiamo alla riflessività personale e con altri colleghi?
Quanto ci sentiamo parte del cambiamento e desideriamo esserne protagonisti?

Io non ho risposte, però mi faccio tante domande e penso che dalle domande emerga la mia curiosità e il mio interesse per la professione.
Nel servizio sociale non sarà tutto scientifico (evviva esistono dei margini di incertezza!), ma non è neanche tutto "a caso" o "a buon senso", altrimenti potrebbe farlo chiunque (come pensano molte persone!).
La strada è lunga, ma è già iniziata...riusciremo a dimostrare il valore aggiunto del servizio sociale?
Iniziamo da qui per tradurre la prassi in teoria...che ne pensate?


suggerisco questo video in questa giornata mondiale del servizio sociale:
http://www.cnoas.it/video.php?keytb=&id=77
-----------------------------
http://www.assistentisociali.org
Canale Youtube di AssistentiSociali.org:
http://y.AssistentiSociali.org
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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da marian »

Nazg:
Giusto quello che dici. Superiamo questo isolamento, proviamo a creare più occasioni per confrontarci... Non solo tra gruppi "ristretti", ma anche con scambi tra regioni diverse, visto che dopo la riforma cost. del 2001 lil sistema di welfare si è realizzato in modo frammentato e vario, con il regionalismo che ha portato a realizzare assetti territorialmente differenti (a volte divergenti). Concordo su tutte le tue riflessioni, potremmo cominciare proprio da qui per promuovere nuove idee e proposte... Maria Antonietta
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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da Nuvoletta »

La fatica di riconoscere la scientificità della nostra professione è dovuta sostanzialmente alla natura della nostra mission e vision,come già citato da 333 , differente da quella delle professioni “scientifiche”. La sociologia studia i fenomeni sociali e fa delle ipotesi sulla loro trasformazione,senza provocare particolari interferenze: può quindi usare strumenti scientifici di rilevazione e risultati verificabili empiricamente. Noi dobbiamo “ provocare” dei cambiamenti partendo da soggetti e risorse costantemente diverse e in continua trasformazione, mai ripetibili. La medicina definisce i criteri per le diagnosi e i protocolli di intervento, potendo contare su risorse ( es. i farmaci, gli strumenti diagnostici) standard e sempre presenti che permettono validazioni scientifiche, creazione di procedure e protocolli. Le azioni sociali, invece, sono necessariamente collegate all’interpretazione di fenomeni, per loro natura in continua evoluzione, e necessitano di costanti sperimentazioni che devono essere negoziate e condivise. Tutto questo richiede una lavoro che non rientra propriamente nell’area della scientificità, ma in quello della professionalità. In questo ci avviciniamo di più alle discipline umanistiche e pedagogiche, ma di questo non dobbiamo farci un cruccio. L’insegnante è, per esempio, un professionista che come noi non utilizza strumenti propriamente scientifici, non possiede protocolli operativi standard, ma riconosce le potenzialità soggettive e, tenendo presente un programma di massima, utilizzando le proprie conoscenze e gli strumenti a disposizione, accompagna ogni alunno verso un percorso di apprendimento il migliore possibile per lui ( progetto personalizzato?). Non mi pare che l’insegnante si preoccupi di non essere abbastanza “scientifico” e nessuno vorrebbe che lo fosse. All'ass. soc., come all'insegnante, si richiedono capacità di ascolto, di riconoscimento dei bisogni, abilità nel creare una relazione significativa attraverso la quale la persona può imparare, orientarsi,evolvere. Si desidera che tali professionisti siano equi nel loro giudizio, sappiano riconoscere e controllare i propri preconcetti e pregiudizi; siano inoltre in grado di riconoscere i cambiamenti sociali e le loro ricadute suoi soggetti e sappiano reindirizzare il loro intevento....e perchè riescano a fare tutto questo si spera abbiano molta cultura nel senso più ampio del termine non certo acquisibile in un limitato percorso formativo ( ed è per questo limite che si incontrano professionisti della "carità" e della "pacca sulla spalla").
Tutte queste peculiarietà, però, non attendono propriamente ai paradigmi scientifici, ma umanistici, oggi non più tanto in voga come le nostre professioni, ma non per questo di minor valore.
JJJ
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Re: Domanda provocatoria

Messaggio da JJJ »

Il Servizio Sociale è una disciplina, che, entra nella vita delle persone, in alcuni casi consensualmente, in altri necessariamente ed in altri ancora "forzatamente" ma comunque, sempre in momenti delicati e situazioni personali e sociali nei quali il soggetto viene a trovarsi per forza di cose in una posizione subordinata nei confronti dell'operatore ed a percepirsi in tal senso nonostante, tutti gli accorgimenti ed i vincoli valoriali o etici che si possano opporre in merito. Proprio per tali ragioni quando si entra nella vita di un altra persona a qualunque titolo e con qualunque funzione lo si deve fare sempre in punta di piedi; a granzia di ciò nella relazione professionale d'aiuto non sono sufficenti ne le norme, ne tantomeno i codici, se, l'atteggiamento di fondo ed il modo di porsi (operativo intendo) del soggetto in posizione "di vantaggio" sono dettati dalle personali conoscenze e peggio ancora dal personale "metro di giudizio". All'Assistente Sociale non è infatti richiesto di esprimere giudizi di valore sulla persona (e questo mi sembra acclarato) ma, di compiere una VALUTAZIONE PROFESSIONALE, di prendere carico professionalmente della situazione rilevata e di agire nella realizzazione della migliore situazione/status auspicabile per il soggetto destinatario dell'intervento, tenendo presente in ogni fase e grado l'interazione con l'utente. Ecco dunque a garanzia di ciò la necessità di "mappe valutative" ovvero di strumenti che presentino un alto grado di standardizzazione; strumenti controllabbili, socializzabili e ripetibili : questi i criteri di scientificità nel lavoro sociale. E' in questi termini che si parla di "Scienze del" ma se per scienza continuiamo a fissarci sull'astrofisica ripeto stiamo parlando di cose sostanzialmente differenti. In altre parole se è questa forte personalizazione -opinabile?- la struttura entro la quale si regge l'intervento, se il discernimento dei fatti e delle vicissitudini intervenute ed intervenienti fosse lasciato completamente, al mio personale senso delle cose, allora, avremmo che, quello che a mio personale giudizio è inammissibile o deprecabile, potrebbe paradossalmente essere tollerabile o forse condivisibile dal collega X piuttosto che da Y e da Z...e non mi si tiri fuori la solita pappa del "conoscersi", dei "principi" etc...essi da soli, rimangono, perifrasi vuote ed asettiche. Ecco perchè sin dai suoi albori i famosi "Pionieri" nonchè Teorici del Servizio Sociale Professionale (ed in primis Social Workers) sentirono l'esigenza di emancipare il Lavoro Sociale dall'impeto umanitario (seppur lodevole, ma non professionale); sentirono l'esigenza di affrancare il destinatario degli interventi dai concetti di colpa e di disvalore. Alla luce di tutto ciò, termini come: Razionalizzazione, Laicizzazione, Professionalizzazione ed Istituzionalizzazione, dell'aiuto, acquistavano forse un senso. Si parlò in tal proposito di Diagnosi Sociale, di Scuola Diagnostica di Servizio Sociale di Social Case Work (M.H. Richmond e soci)...di "Valutazione Psico Sociale (Hollis)...di Problem Solving (Perlman); ecco perchè posero come fondamenti della nascente Professione, lo studio e l'elaborazione della teoria scaturente dalla prassi ed il tramandare alle future generazioni di Social Workers tale cultura scientifica, tali fondamenti. Ma se poi un Assistente Sociale del Servizio Comunale in una relazione tecnica all'A.G. si limita a riferire che: "tizio ha detto cha caio riferisce, che sempronio ha visto etc."...sta "valutazione psico-sociale" è una cosa che si mangia? e il ricevente nonchè commissionante, cosa se ne dovrebbe fare di tale resoconto? oppure se un Assistente Sociale della UOMD attende indicazioni ufficiose da parte di un Giudice: sul come, sul cosa e sul quando..."L'Autonomia Tecnico-Professionale e di Giudizio" è commestibile anch'essa? Se oggi si Parla di "Managment del Caso", di Managment dei Servizi, di Libera Professione, siamo sicuri del termine di paragone col Medico, l'Insegnante, il Sociologo (con tutto l'assoluto rispetto per gli uni e per gli altri)etc.? Se il raggio d'azione si allarga oggi alla CTP e CTU...ma consulenza dde che? Ha un senso concreto parlare di "Avventura Comunitaria", Territorializzazione, Programmazione, Pianificazione, quando, si smarriscono i punti cardine della propria identità nella relazione professionale con un altra persona (perchè è con persone che ci relazioniamo, lavoriamo, ci interfacciamo...aldilà della comunità territoriale etc.)? Concludendo: non è che forse ci piace usare termini, pensare e pensarci in termini (e per termini) così...a caso? Percui cari colleghi sono contento che ci sia confronto su temi centrali come questo e trovo sensate ed opportune le riflessioni di Nazg:"Cosa trasmettiamo alle generazioni di tirocinanti che passano nei nostri servizi? Perchè molti colleghi continuano a ripetere "la teoria è una cosa la prassi è un'altra"? Quanto ci sentiamo parte del cambiamento e desideriamo esserne protagonisti?". Tuttavia la domanda postata inizialmente, dà luogo, ad altri interrogativi che ci sembravano scontati e che davamo ormai per risolti, ma che forse oggi nel momento in cui in Italia si ritiene che il Cammino per il Riconoscimento della Professione di A.S. si sia concluso positivamente (anche se solo formalmente) si rivelano più pressanti di altri. Forse cari colleghi il tempo di far letteratura è finito! Visto che nei commenti precedenti (e visto che noi siamo a definire ed a definirci) ho sentito parlare di "etichetta", di "fatica nel riconoscere"...alla fine della fiera, se la scentificità decade: Siamo sicuri di poter parlare di Professione e di poterci proporre come Professionisti? e se parliamo di Professione di Aiuto qual è l'attività che professiamo? di che aiuto stiamo parlando? Alla luce della normativa di settore più recente, amiamo parlare di integrazione professionale, di lavoro d'equipe: quali sarebbero dunque le competenze integrate dall'Assistente Sociale? Sarebbe dunque il caso di correggere un attimino "il tiro"?
Ultima modifica di JJJ il gio, 17 mar 2011 - 11:30 am, modificato 3 volte in totale.
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