Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Per tutti quei messaggi che non hanno una collocazione precisa
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Nazg
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Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da Nazg »

"Perchè gli assistenti sociali pendolano sempre tra impotenza ed onnipotenza?"
Mi piace riprendere una delle domande che Ugo ci ha proposto nel suo video-regalo. (per chi non l'avesse ancora visto: http://www.youtube.com/watch?v=ORrSc3yrul4 )

Ugo ha colto in questo quesito l'ambivalenza dei sentimenti che l'assistente sociale prova nel suo lavoro quotidiano: da un lato i sentimenti di frustrazione dovuti alla scarsità di risorse e ai fallimenti dei progetti, e dall'altro lato il senso di potere che l'assistente sociale ha di "decidere per gli altri" e di "controllarli".
Due aspetti inquietanti se presi nella forma estrema...brrrrr.... :|

Credo che per "rispondere" a Ugo bisogna riflettere insieme e cercare delle risposte come comunità professionale.
Vi va di dire la vostra?
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da MartySociale »

Bhe io non sono ancora un'assistente sociale, spero di diventarlo e ce la sto mettendo tutta per far sì che questo si realizzi... bhe impotenza... durante il mio tirocinio spesso mi sono sentita impotente perchè ci sono situiazioni difficili da gestire, difficili da risolvere e spesso ci si sente impotenti, incapaci e rattristati magari nel mandarwe a casa l'utente con un "non possiamo fare nulla" o un "no, non è di nostra competenza"; onnipotenti bhe... se si sfocia nell'onnipotenza, nel sentirsi capaci di tutto, bravi al di sopra si tutti è rischioso perchè invece che centrare l'attenzione sull'altro, guardiamo e ci preoccupiamo solo di noi stessi... Noi siamo lì per gli altri, per l'empatia, anche si per cambiare e lavorare su noi stessi ma non per uscirne vincitori o migliori di altri... vincitore è l'utente che ti ringrazia e che è felice di aver trovato un lavoro e una casa. E' solo merito suo.
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da ugo.albano »

Vedo che la frase ha fatto effetto!!!

Dico la mia: onnipotenza ed impotenza sono i due paradigmi tipici dell'aiuto "spontaneo" (intendo i volontari, ma anche l'esercizio semiprofessionale).

ONNIPOTENZA: non ha un'accezione negativa, tutt'altro! Onnipotenza vuol dire "andare oltre i limite del possibile". Nell'aiuto significa scommettere su percorsi che, razionalmente, sarebbero impensabili. Questa onnipotenza (positiva) io la vedo molto presente nel volontariato cattolico, dove si scommette "oltre al razionale" appunto perchè si sa di muoversi su binari "extrarazionali" (la fede).

IMPOTENZA: è storicamente l'atteggiamento di chi sa che la realtà và dove vuole, con o senza il suo contributo. Nell'aiuto significa accettare che l'azione sull'altro è inefficace, in quanto il "fenomeno" prevale sul "caso singolo". E' un atteggiamento molto diffuso tra i politici, i quali, consci del fatto che i fenomeni sociali possono venir poco gestiti, semplicemente accettano che "è così" e basta.

Noi assistenti sociali dobbiamo sapere di essere tra questi due fuochi. Chi però si definisce "professionista" dovrebbe non farsi "sparare" da questi due fuochi, ed oscillare verso l'uno o l'altro atteggiamento, bensì avere una propria posizione. PER ESEMPIO essendo consapevoli dei due fronti. PER ESEMPIO scegliendo su quali situazioni "scommettere", su quali no. PER ESEMPIO fotografando se stessi di fronte a questi atteggiamenti e ponendoci questa domanda: "ma io, sono tendenzialmente onnipotente o impotente???"
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da MartySociale »

ONNIPOTENZA secondo me è assolutamente negativo... la storia italiana lo dimostra, i fatti lo dimostrano. chi si senti onnipotente e capace di tutto fallisce e fa del male agli altri
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da ugo.albano »

?????????
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Mac
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da Mac »

Penso che MartySociale si riferisca all'ideologia fascista, che risponde ad una logica accentrata che si fonda sull'onnipotenza.

Io credo che l'oscillare tra impotenza ed onnipotenza costituisca un gran problema per gli assistenti sociali. Studiando e poi successivamente lavorando si imparano tante cose che permettono di individuare metodi, approcci, strategie per lavorare in modo adeguato con le persone e con il loro disagio. Ma poi non sempre tutto questo può essere agito...Le motivazioni sono molteplici, prima fra tutte il fatto che l'assistente sociale non è una persona che agisce singolarmente, ma la maggiorparte delle volte risulta inserita in contesti organizzativi più ampi (che sia un ente privato o un ente pubblico) e ad essi deve rispondere e, molte volte, sottostare. Da qui un primo lato dell'impotenza.
Poi c'è da considerare che egli spesso non lavora da solo, ma insieme a colleghi ed altri professionisti, e quindi ciò comporta la mediazione tra diversi saperi che non sempre porta a soluzioni attuabili, o a soluzioni del tutto condivise dall'assistente sociale in questione, che quindi, anche qui, si sente impotente perchè non riesce, seppur di fronte ai suoi colleghi, a far valere ed applicare il suo punto di vista.

Un altro aspetto dell'impotenza, quella che credo a volte generi la frustrazione maggiore, è quella relativa alla mancata condivisione della persona rispetto al progetto di intevento che si è pensato per lei. In una certa situazione si potrebbe essere riusciti a comprendere l'esatto problema e soprattutto la persona bisognosa d'aiuto, e magari si è riusciti anche a intravvedere una possibile soluzione al suo problema, ma la persona in questione non è del nostro stesso avviso e ci ostacola.
Oppure, anche in presenza di consenso e partecipazione, non si riesce ad arrivare alla risoluzione del suo disagio; nonostante tutto l'impegno che si è agito, ci possono essere degli aspetti che non permettono il sorgere di una soluzione adeguata. Le risorse ci sono tutte, ma il problema si ripresenta sempre, segno che qualcosa inevitabilmente non funziona e non si riesce a capire come risolvere questa situazione. Questo genera frustrazione e senso di impotenza grande, soprattutto perchè si è ben consapevoli che più tempo passa più il disagio potrebbe complicarsi.

L'onnipotenza dal canto suo credo sia anch'essa abbastanza diffusa e piuttosto normale, non tanto nella categoria assistenti sociali, quanto in generale nella categoria "genere umano".
Ma qui, l'onnipotenza nel sociale, è più specifica... Potrebbe significare la convinzione dell'assistente sociale di essere in qualche modo la persona incaricata di risolvere, sempre o comunque, determinate situazioni di disagio. Il termine "assistenza" rievoca una dimensione legata all'attenzione mirata e solerte verso una persona in stato di bisogno, e talvolta questo senso del dovere può portare a degli "eccessi di dovere", che in qualche modo offuscano il senso del limite del professionista. E generano anche molta frustazione, perchè si crea un sovraccarico non indifferente...
E' un po' come quando l'operatore, in una sorta di visione salvifica del suo lavoro, assume su di sè tutti i compiti e in generale le "cose da fare" nell'ambito di una relazione professionale. Nonostante vi siano altre persone da coinvolgere (in primis la persona stessa visto che sappiamo che l'intervento sociale si attiva solo quando vi è condivisione del percorso e collaborazione tra a.s. e persona, ma anche tutte le altre persone della cossiddetta "rete" che potrebbero aiutare a sviluppare l'aiuto di cui si ha bisogno), l'assistente sociale sente su di sè la responsabilità del dover fare, e del dover fare tutto lui, con conseguenze perlopiù negative...sia perchè non si sviluppa l'empowerment della persona, che non sarà quindi mai in grado di fronteggiare le sue difficoltà in modo autonomo, sia perchè è facile che ne derivi il bornout dell'assistente sociale.

Credo che molto spesso l'onnipotenza derivi dal fatto che si confonde il lavoro sociale con il lavoro psicologico, che è di per sè caratterizzato dalla direttività operatore-persona; infatti il rapporto è simmetrico (uno di qua uno di là) e la soluzione arriva da una parte sola (dallo psicologo), che è una sorta di "dispensatore di soluzioni" che la persona riceve passivamente. E' l'ottica medica, insomma.. Il lavoro sociale invece si basa sulla condivisione continua del percorso, e le soluzioni ai problemi vengono "costruite" passo a passo dall'interazione tra l'assistente sociale e la persona. Questo meccanismo è molto più difficile...si deve creare una buona base di fiducia reciproca e ci deve essere una comprensione tra i due interlocutori, cosa che richiede tempo e parecchie energie. Forse anche per questo a volte si cade dell'onnipotenza, perchè, magari anche inconsapevolmente, si vuole cercare una soluzione meno difficoltosa, che però non arriverà in questo caso se l'assistente sociale farà tutto da solo e sarà convinto che il suo agire sia il migliore e l'unico possibile.

Chi si chiude alla condivisione, si chiude all'apprendimento e questo è sempre negativo, soprattutto nel lavoro sociale che deve essere sempre rinnovato, modificato ed adeguato ai tempi che cambiano velocemente.

Certo l'onnipotenza potrebbe non essere del tutto negativa, se la si intende come credere ciecamente nelle potenzialità dell'intervento sociale e avere fiducia in esso. Andando avanti negli anni, molta di questa "carica" negli assistenti sociali svanisce, ed è anche comprensibile perchè le situazioni di disagio in ogni caso inducono spesso a rassegnazione se non giungono ad una soluzione. E questo è in ogni caso un lavoro che è in contatto quotidiano con le sofferenze, ed è quasi inevitabile sentirne il peso.
La carica vitale, la speranza che tutto possa andar bene se vi è l'impegno e la serietà giusti, credo sia molto importante e quindi molto positiva, e non negativa.

E' un problema l'oscillazione tra i due poli impotenza ed onnipotenza, e anche questa situazione di instabilità genera frustrazione, proprio perchè ci si sente in balia di forze più grandi di noi.
Questo succede già nella vita di tutti i giorni, figuriamoci poi in un lavoro del genere, che presuppone il contatto con problematiche di non facile soluzione.

Non so se si riuscirà mai a risolvere questi problemi; credo però che una buona ipotesi di aiuto possa essere la condivisione quotidiana di ciò che proviamo e delle difficoltà che incontriamo con i colleghi e con altri professionisti di cui abbiamo stima, in modo che ci aiutino a mantenerci in equilibrio quando non siamo in grado di farlo da soli.
Che ci permettano di non perdere le speranze e la motivazione in questo lavoro che in modo naturale derivano dall'impotenza, e che ci aiutino a vedere i limiti che noi non riusciamo a vedere. D'altronde, come le persone che cerca di aiutare, anche l'assistente sociale stesso talvolta ha bisogno d'aiuto e va sostenuto, supportato ed a volte anche frenato.
Oltre al confronto quotidiano con gli altri, credo sia utile anche la consapevolezza di tutto ciò. Che non è cosa da poco. Sapere che l'onnipotenza, intesa in senso "accentrativo", genera una serie di problemi sia per la persona che abbia di fronte, sia per noi stessi e il nostro lavoro, credo sia un punto iniziale per evitare di cadere nel problema.

E anche se poi ci si cade, e può succedere, visto che siamo tutti umani e possiamo sbagliare, se si è consapevoli di tutto ciò, si è in grado di individuarne le cause e agire su esse.
La riflessione sulle cose aiuta sempre.

Come dice Alessandro Sicora (nell'ambito di un interessantissimo seminario sull'errore nel servizio sociale che ho seguito due mesi fa): "non commettere errori è come voler raggiungere la linea dell’orizzonte; la meta è irrealistica, ma la migliore destinazione è la crescita personale e professionale attraverso la creazione di nuovi occhi per guardare in maniera più penetrante la realtà e nuove mani capaci di dar forma a interventi di aiuto efficaci e densi di senso."
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da Nazg »

Mac ha scritto:Chi si chiude alla condivisione, si chiude all'apprendimento e questo è sempre negativo, soprattutto nel lavoro sociale che deve essere sempre rinnovato, modificato ed adeguato ai tempi che cambiano velocemente.
....
Oltre al confronto quotidiano con gli altri, credo sia utile anche la consapevolezza di tutto ciò. Che non è cosa da poco.
....
Come dice Alessandro Sicora ... "non commettere errori è come voler raggiungere la linea dell’orizzonte; la meta è irrealistica, ma la migliore destinazione è la crescita personale e professionale attraverso la creazione di nuovi occhi per guardare in maniera più penetrante la realtà e nuove mani capaci di dar forma a interventi di aiuto efficaci e densi di senso."
Mi è piaciuta molto la riflessione di Mac.
Io ho colto alcuni punti importanti: condivisione, confronto e capacità di riconoscere i propri errori per rialzarsi e diventare persone e professionisti migliori.
Bisognerebbe riuscire a ammettere i propri limiti/errori anche tra colleghi (non solo con se stessi), per aiutarsi a capire e a fare meglio. Possibilità o utopia?
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da Mac »

Credo che la voglia di confrontarsi dipenda anche dal contesto in cui si è inseriti. Sicuramente ammettere i propri errori o comunque mettersi in discussione sono passi molto delicati e si riesce a farli solo quando si sente di poter essere compresi e non giudicati.
Ho potuto osservare che la condivisione è utilissima fra colleghi che si stimano, e fra quelli che hanno anche un rapporto di amicizia è ancora meglio, come naturale.
Poi a parte la presenza di colleghi che si stimano e di cui ci si fida, tutto dipende anche dalla predisposizione personale alla riflessione e alla ricerca di aiuto. Non tutti riescono/vogliono chiedere aiuto. E non tutti ammettono di poter fare sbagli.

Riporto il pensiero di Fabio Folgheraiter che ultimamente considero il mio guru personale :) :
"Un assistente sociale efficace deve possedere sicurezza psichica; deve essere sicuro, nel senso di avere speranza che un certo esito avvenga, nonostante tutte le difficoltà che si presentano sul cammino. Deve però avere anche la determinazione di andare avanti con prudenza, nonostante la consapevolezza che vi sono rischi e difficoltà. Deve quindi possedere insicurezza operativa, legata al fatto di non commettere l'errore di sentirsi invincibile e unico autore del processo d'aiuto."
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da Nazg »

Mac ha scritto: Riporto il pensiero di Fabio Folgheraiter che ultimamente considero il mio guru personale :) :
"Un assistente sociale efficace deve possedere sicurezza psichica; deve essere sicuro, nel senso di avere speranza che un certo esito avvenga, nonostante tutte le difficoltà che si presentano sul cammino. Deve però avere anche la determinazione di andare avanti con prudenza, nonostante la consapevolezza che vi sono rischi e difficoltà. Deve quindi possedere insicurezza operativa, legata al fatto di non commettere l'errore di sentirsi invincibile e unico autore del processo d'aiuto."
ecco...
Forse la soluzione sta proprio nel fatto che il cambiamento lo deve fare la persona, con un supporto da parte dell'assistente sociale?
L'ass.soc. deve togliersi la veste da "sostituto", "tuttofare", "salvatore"... quindi togliersi un po' di vestiti che altri gli danno o che si mette da solo per trovare una versione di sè più essenziale (e competente!)...
Wow :shock:
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da Mac »

Sì, io credo sia così.
L'assistente sociale non è un dispensatore di soluzioni tuttofare, e questo deve averlo chiaro lui in primis, per poi comunicarlo alla persona, che molto spesso si indispettisce proprio perchè pensava di avere di fronte una persona che risolvesse i suoi problemi (come fa il medico, lo psicologo, ecc).
Si parla tanto di rete ed atteggiamento relazione, di empatia e importanza della relazione di fiducia, ma se non si condivide il fatto che l'aiuto viene costruito da entrambi, io credo non si possano condividere neanche quelle dimensioni.
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da MartySociale »

Ho trovato profonda ed interessante la riflessione di Mac. già... assistente sociale come agente del cambiamento... condividere ed aprirsi all'altro, far si che l'altro si apra a noi è importante. sono d'accordo su tutto.
Grazie per lo spunto...
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da Mac »

Questa mattina, riprendendo la lettura di "Teoria e metodologia del servizio sociale" di F. Foglheraiter (sì, sempre lui!), mi sono imbattuta in una frase che considero assai veritiera e che riprende il discorso del ruolo dell'assistente sociale.

"Il lavoro sociale opera con i sistemi, non tenta di ripararli a suo piacimento. Agisce a partire dai punti di forza, non diagnostica e attacca i punti di debolezza. Crea coinvolgimento, non isola un sistema per analizzarlo. Crea premesse al benessere, non lo realizza di propria mano.
Il lavoro sociale facilita lo sviluppo del possibile, non la costruzione autoritaria dell'improbabile."
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da Nazg »

Bella la frase di Folgheraiter che Mac ci ha offerto :D
Mi fa capire che dobbiamo entrare nelle situazioni in punta di piedi, con grande rispetto per l'altro.
Che, inoltre, dobbiamo metterci degli occhiali di "positività" per poter vedere prima le risorse/qualità rispetto ai problemi/mancanze.
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da MartySociale »

Davvero vero... mi avete incuriosito sull'autore...
grazie
Davide09
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Re: Assistenti sociali tra impotenza e onnipotenza

Messaggio da Davide09 »

ONNIPOTENZA secondo me è assolutamente negativo... la storia italiana lo dimostra, i fatti lo dimostrano.
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