Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Hilda
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Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da Hilda »

Cari colleghi, sono un'assistente sociale che lavora in alta Lombardia e mi rivolgo a voi in cerca di un consiglio. Ultimamente incrocio sempre più situazioni di disagio estremo e di emergenza. La situazione generale di quasi tutti i nuclei familiari che mi danno più da pensare (molto spesso con uno o più figli piccolissimi) è più o meno questa:
- nessun reddito
- affitto arretrato e sfratto alle porte
- sospensione della fornitura di acqua/gas/elettricità
- difficoltà a reperire generi alimentari di prima necessità
Oltre al supporto generale alla famiglia, ragionando sugli interventi "concreti" da mettere in atto: una volta inviate le persone al centro per l'impiego, fatto fare domanda per bonus sostegno affitto quando possibile (e litigato col proprietario di casa, a volte..), contattati i fornitori delle utenze facendo presente che i servizi essenziali come l'acqua, il gas ecc. non possono essere sospesi e attivato il pacco Caritas ove le risorse locali lo permettono..che posso fare?
Il comune non ha risorse e mi rimbalza alla Caritas/S.Vincenzo/CAV ecc.
La Caritas (e affini) non ha risorse e chiede che il comune si prenda le sue responsabilità assistenziali.
Spesso, contattando servizi fuori ambito mi sento rispondere che giustamente la competenza territoriale non consente loro di intervenire.
Io mi trovo sempre più spesso senza risposte o rimbalzata da un servizio all'altro senza poi ottenere nulla.

Sono giovane e ho cominciato da poco, dunque sono certa mi stia sfuggendo qualcosa.
Qualcuno si è trovato in casi simili? Cosa avete fatto?

Grazie,
Hilda
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ugo.albano
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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da ugo.albano »

Cara Hilda,

vivo le stesse cose nel quotidiano. Io qualche "dritta" ME la sono data (dico ME perchè con i colleghi non abbiamo una linea condivisa):

1) siamo in una crisi di sistema, è evidente che il metodo che usiamo non funziona più;

2) rete o non rete, per mantenere nuclei ad un minimo di dignità, ci vogliono risorse che non ci sono;

3) ciò per dire che la responsabilità non è nostra, occorre pure rimandare a livelli politici locali (che magari hanno sviolinato politiche di diritti sociali fino a qualche anno fa);

4) siccome si tratta comunque di "accompagnare" le persone verso equilibri oggettivamente più sostenibili, si tratta di favorire scelte diverse, tipo il ritorno in patria di immigrati, l'emigrazione di italiani verso lidi migliori, magari aiutando le persone a riqualificarsi su settori in cui c'è ancora richiesta.

5) sembrerà strano, ma le persone senza di noi comunque trovano risposte. Assicurato il tetto sulla testa, la gente abbassa i livelli di consumo e recupera gestioni più casalinghe. Per esempio: panino a scuola invece delle brioche incellofanate; spagletti agli o eolio invece dei quattro salti in padella.

I "servizi alternativi" sono quindi nella nostra testa e nella nostra creatività. La crisi ci costringe - meno male - a smetterla di pensarci come erogatori di risposte economiche.

Sul tema dovrebbe uscire tra qualche mese un mio articolo su una rivista nazionale. Se mi scrivi in privato (vedi sotto) ti avverto.

Saluti.
Ugo Albano

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tabellina
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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da tabellina »

buongiorno a tutti..
condivido pienamente l'analisi del collega Albano, ma vorrei tornare su un punto: quello per cui la gente abbassa i livelli di consumo e recupera gestioni più casalinghe.
per la maggior parte delle persone che incontro nel mio lavoro, questo "cambio" di mentalità non avviene; spesso tutto è dovuto, per cui poi ci troviamo ad affrontare delle vere e proprie emergenze che dal servizio finiscono direttamente ai giornali e in sede politica. meglio, verrebbe da dire, ma i politici non fanno altro che ripassare la palla e chiedere: come mai i servizi non fanno niente? per cui alla fine il messaggio che passa è: le/gli assistenti sociali non fanno niente, e stanno a scaldare la sedia; non mi trovano un lavoro e allora che ci stanno a fare?non mi danno soldi, e allora che ci stanno a fare?
questa mentalità assistenzialistica è difficile se non impossibile da sdradicare.
a volte, ed è stimolante, mi ritrovo ad attivare dei buoni percorsi di sostegno/orinetamento anche senza attivazione di contributi economici con qualche persona che si mette in gioco e ha il desiderio di cambiare. Ma la maggior parte degli "utenti" non è così.
posso però dire alla collega Hilda che non abbiamo la bacchetta magica; attivati gli strumenti in nostro possesso, le reti e quant'altro, non siamo dei maghi. :roll:
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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da davide »

no non siamo dei maghi è vero ma il problema va comunque osservato anche da altre prospettive e non è produttivo nè ci fa crescere questa conclusione.

Io invece personalmente ritengo che questa domanda tocchi uno dei punti fondamentali riguardo la nostra crisi di identità professionale.

La risposta non è immediata nè semplice visto che poi la collega si ritrova con le mani legate ingarbugliata da un sistema che annulla la sua professionalità.

Ma nel codice deontologico si fa riferimento anche al ruolo di advocacy dell’assistente sociale e al ruolo con le istituzioni.

Dunque, premesso che la soluzione “pedagogica” dei costi sostenibili, esposta da dott. Albano mi trova molto d’accordo io però non la vedo una soluzione ma uno strumento, e non sono assolutamente d’accordo che qui sia un discorso di “assistenzialismo”.

Qui secondo me si solleva una tematica a livello sociologico/giuridico cioè l’esistenza di diritti sociali senza i quali non possono esistere nè diritti politici nè diritti civili.

va bene la pratica di tutti i giorni ma questa domanda richiede una riflessione.

Se l’ AS non lavora per l’ottenimento dei diritti sociali facendo leva su quella “crisi di sistema” che ci trova invischiati in percorsi burocratici per tutelare i diritti sociali sanciti dalle costituzioni, l’ as non serve a niente.
è annullato il suo ruolo!

Senza i diritti sociali non esisteno i diritti di cittadinanza e non esistono DIRITTI UMANI.

Nei manuali di politica sociale dove si spiega la nascita del welfare si spiega molto bene cosa significa stao democrazia e cittadinanza.marshall ne parlava 60anni fa..

io credo che si la responsabilità è anche nostra, invece, e nelle sedi competenti si dovrebbe fare un lavoro di lobby e pressione a livello politico per garantire i diritti sociali anche a livello di ordini.

In paesi democraticamente maturi come germania francia svezia e inghilterra queste situazioni e problematiche sono state risolte decenni fa con i redditi minimi garantiti.

In italia al governo c’ è una squadra di burocrati che applicando teorie del mercato neoliberiste svuota i cardini su cui si basa lo stato democratico italiano.

allora va bene la libera professione ma noi non nasciamo per seguire il mercato.

Ci tengo a dire, per esprimere la mia posizione che se gli assistenti sociali non si impegano a farsi un idea cosciente di quello che sta succedeno con questa "crisi di sistema" finiamo davvero per sposare la logica del “rispediamo le persone da dove sono venute!!!” è molto pericoloso.

Qui non si può parlare di assistenzialismo. insomma ma sappiamo conosciamo bene la definizione di assistenzialismo??
Senza voler aprire dibattiti, che qua è impossibile ma qui non è questione di 4 salti in padella, qui è questione di diritti umani e di cittadinanza.

Ricordo che è i sostegni economici SONO INCENTIVI per autonomia e iniziativa personale PER CUI si offrono risorse per conseguire obiettivi propri di vita.

Parlo insomma di quella soluzione studiata da molti sociologi e giuristi italiani, tra cui danilo zolo che fa riferimento al reddito di cittadinanza.

una proposta di intervento economico generalizzato e egualitario, ovvero non discriminante nei confronti di alcuno, che concorre a definire, al pari della cittadinanza giuridica, la piena cittadinanza economica e sociale.
Per reddito di cittadinanza si intende un'erogazione monetaria, distribuita a tutti in grado di consentire una vita minima dignitosa, cumulabile con altri redditi (da lavoro, da impresa, da rendita), indipendentemente dall'attività lavorativa effettuata, dalla nazionalità, dal sesso, dal credo religioso e dalla posizione sociale, in età lavorativa, per il periodo che va dalla fine delle scuole dell'obbligo all'età pensionabile o alla morte.
Lo scopo del reddito di cittadinanza è quello di fornire una liquidità monetaria spendibile sul mercato così da consentire il pieno godimento dei diritti di cittadinanza e di socialità: da questo punto di vista il reddito di cittadinanza concorre a garantire la cittadinanza economica e sociale.


cit. http://isole.ecn.org/andrea.fumagalli/10tesi.htm

cosa fanno gli assistenti sociali per portare nelle sedi opportune questi conflitti e dilemmi professionali??
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ugo.albano
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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da ugo.albano »

Come si evince il problema è complesso, mi permetto però di focalizzare un tema che, trasversalmente, è del tutto evidente:

da una parte il "diritto di cittadinanza" (decantato, ma non attuato), dall'altra la "realtà di fatto", ovvero pochi soldi in tasca ed una cultura assistenzialistica (attenzione! è funzionale al consenso politico).

Inoltre dobbiamo capire che stiamo parlando NON di un welfare nazionale, ma di venti welfare regionali. Vivere in Trentino o vivere in Calabria sono due cose ben diverse.

Non è colpa nostra se il nostro Stato carica le risorse economiche sulla previdenza e non sull'assistenza (diversamente che nei Paesi anglosassoni). Non è colpa nostra se l'assistenza è "materia regionalizzata" e, visti i tagli, le prestazioni ne vengono a soffrire.

Io credo che la professione si faccia portavoce della non realizzazione di un welfare di minima, con redditi minimi di inserimento o (come si diceva una volta) "minimi vitali.

Da professionisti intelligenti, però, dovremmo allargare la riflessione: non è che più soldi risolvono granchè. Anzi, come qualcuno diceva, alimentano l'assistenzialismo. Da professionisti intelligenti dovremmo connettere i soldi che si danno a percorsi di riscatto: oggi i tempi e le sensibilità politiche lo richiedono.

E' logico che anche la verifica della capacità di spesa e la competenza ad un consumo sobrio sono elementi da rilevare e su cui intervenire: che facciamo a fare, altrimenti, le visite domiciliari?

Che ciò non sia facile lo so, che ciò non sia nel pensiero politico sociale lo so. Anche "facilitare il ritorno in patria di immigrati" non è facile, ma se si tratta di accompagnare persone in progetti di vita, perchè non far ricadere ciò in un counseling ordinario?

Bisogna saper leggere la crisi "dal di dentro": l'alleanza col bisognoso per intraprendere percorsi di miglior benessere è ben diverso dall'eseguire "politiche economiche" in cui si dà a prescindere. La differenza tra noi ed i politici è proprio questa.

Il servizio sociale non è "dazione". E' accompagnamento delle persone verso un benessere (anche in crisi). Il soldo è uno strumento, non un fine. Le persone, spesso, cambiano NON perchè gli si dà qualcosa, spesso perchè non glielo si dà: chissà perchè poi le cose se le risolvono da sole.....

Buona giornata!
Ugo Albano

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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da tabellina »

"Che ciò non sia facile lo so, che ciò non sia nel pensiero politico sociale lo so. Anche "facilitare il ritorno in patria di immigrati" non è facile, ma se si tratta di accompagnare persone in progetti di vita, perchè non far ricadere ciò in un counseling ordinario?

Bisogna saper leggere la crisi "dal di dentro": l'alleanza col bisognoso per intraprendere percorsi di miglior benessere è ben diverso dall'eseguire "politiche economiche" in cui si dà a prescindere"

e mi ritrovo di nuovo sulla tua stessa linea (scusa il tu), ma io credo che in questo momento noi, intendo come categoria professionale, in generale, non "sappiamo" fare questo.
quando io parlo di counseling le mie colleghe/colleghi mi guardano come fossi un'aliena. e rispondono: cosa vuoi fare questo, quando la gente deve mangiare? a cosa serve?
la mentalità "assistenzialistica" è davvero troppo diffusa, tra tutti, colleghi, responsabili, amministratori...quale può essere allora la via?
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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da pallaspina »

le vostre analisi sono tutte molto indovinate e credo che tocchino vari aspetti della questione. Da una parte, la struttura del welfare italiana che é atipica in Europa e nel mondo, come sottolinea Ugo. Senza toccare paesi eccellenti, vi posso dire che in Spagna l'assistente sociale non eroga contributi economici perché anche qui sono previsti tutta una derie di redditi minimi (al massimo, interventi residuali vengono gestiti dal Terzo Settore). In casi eccezionali, ma proprio eccezionalissimi, allora si attivano aiuti economici. Gli assistenti sociali si dedicano a tutta una serie di cose che qui sono appannaggio di altre professioni e soprattutto del privato sociale, ovvero sostegno alla genitorialitá e counseling. Dall'altra, come sottolinea lo stesso Ugo, a prescindere dal fatto che se il nostro stato sociale é cosí organizzato non si puó fare molto, la stessa nostra categoria questa cosa se l'é scelta e voluta e tenuta ben stretta. Perché non appena qualche collega (io per prima) ha a volte provato ad assumere un ruolo "altro", é stata guardata con sospetto per non dire aperto disprezzo, in quanto il ruolo corretto secondo i colleghi doveva essere "presidiare il servizio" ed erogare prestazioni.
Un altro aspetto critico che ho sempre rilevato é la mancanza di criteri unanimi per l'accesso alle prestazioni. Se da una parte questi interventi non sono diritti ma sono a discrezionalitá (dell'operatore dell'ente), questo peró non solo non ci garantisce, ma anzi, é un'arma a doppio taglio. Vi faccio un esempio. Se uno psicologo pubblico sostiene che non fará terapia a un paziente, perché quello non ha le risorse minime per fare terapia, allora lo psicologo é un guru, tutti si cospargono il capo di cenere e dicono: scusi dottore, sa, noi siamo umili ignoranti. Se un assistente sociale dice lo stesso (che non dará un intervento economico, o un'assistenza domiciliare, perché secondo lui non ci sono i requisiti), come minimo rischia una segnalazione al dirigente del settore se non una denuncia diretta (oppure viene comunque accusato di essere un lavativo e di non avere voglia di fare le cose). per cui molti colelghi, mi ci metto anche io negli ultimi tempi dell'esercizio della professione, francamente non hanno voglia di rovinarsi il fegato e propongono comunque l'intervento; tanto, se é il dirigente a dire di no per il solito motivo della mancanza di fondi, l'operatore cade in piedi. Non dico che condivido questo agire, ma che a un certo punto é anche questione di legittima difesa. Oltretutto, vi é mai capitato di fare proposta negativa a un intervento, e poi vedere che due giorni dopo un altro collega che haz preso in mano il caso ha fatto una proposta completamente diversa???
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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da tabellina »

pane quotidiano...
l'altro giorno mi confrontavo con una mia collega; entrambe seguiamo l'area adulti di un comune, abbiamo una suddivisione alfabetica degli utenti; abbiamo contato quanto in un anno ha erogato lei di contributi economici e quanti ne ho erogati io. lei ne ha erogati il doppio. così a volte anche succede che quando io dico no a qualcuno, questo qualcuno vada da lei che spesso poi invece attiva il contributo.
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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da davide »

Dunque
Aldilà del fatto che io non ho molta esperienza come AS, e ho molto da imparare anche grazie alle vostre esperienze e dai colleghi più anziani di me che osservo in continuazione, volevo solo rispondere per fare un discorso un pò più ampio, perchè in questo discorso la risposta non va ricercata nella pratica ma a livello più alto.

Anzitutto.. il conteggio dei contributi economici fatto per vedere chi ha fornito più contributi... ma io sinceramente , posso dirlo? mi sarei rifiutato di fare una cosa del genere.

Magari sono fuori dal mondo ma è proprio lo specchio dei tempi e della mentalità con cui ci trattano, sottoposti a STANDARD DI EFFICIENZA/come se fossimo una banca che eroga prestiti, sugli inseganmenti di monti e fornero.

Poi non ci lamentiamo se lo psicologo che giustamente fa una diagnosi INDIVIDUALE, professionale, e tratta il caso SINGOLARMENTE ed è formato per agire in maniera indipendente, decide se fare o meno un intervento o avviare una terapia.e a noi ci da fastidio. E perchè ci da fastidio??? Perchè lui fa quello che non possiamo nè sappiamo fare!
Non so, ditemi dove sto sbagliando??

cioè lui non tratta gli individui come numeri. Noi si. (test a parte)
Infatti li contiamo e li inseriamo in un conteggio perchè siamo vittime inconsapevoli di uno sistema che ci tratta come segretarie amministrative.

Ora la vedo solo io la situazione in cui da una parte giustamente sentiamo l’esigenza di parlare legittimamente di counselling vagheggiando professionalismi di eccellenza, per l’autonomia ecc e dall’altra stiamo inserendo INDIVIDUI IN TABELLE.

NOI STESSI percepiamo la contraddizione e forse dobbiamo accettarla...SPESSO NON SEMPRE, ci costringono a far parte di un apparato burocratico per cui dobbiamo fare attenzione per non alimentare parassiti e irresponsabili. Si deve uscire da questa logica. è troppo piccola. bisognerebbe secondo me allargare sociologicamente il problema.

ora, sto teorizzando, però questo non toglie che ci si potrebbe riflettere..la mia idea è che l’ AS deve lavorare per allontanarsi dal discorso del contributo economico. Deve slegarsi da quel ruolo.
Il contributo economico minimo lo deve eseguire un altro tipo di funzionario comunale e l’as si deve occuparsi di “BENESSERE SOCIALE” nella sua accezione più ampia e comunitaria.

lavorare a prescindere dai contributi economici che devono essere garantiti in certe situazioni (rif. è appunto al Reddito di cittadinanza. Le sue teorie rispondono a molte delle dinamiche sollevate a proposito del welfare regionale ecc e che CONSIDERA l’individuo in quanto tale cioè uguale in calabria e in trentino.. slegandolo dalla sua appartanenza geografica)

Allora la nostra attività si svilupperà e le ricerche universitarie promuoveranno nuovi investimenti sul counselling promozionale e partecipativo e altre possibilità per il nostro ruolo che potrebbe quindi espandersi anche con attività private ( ma sempre avviate da uno stato,da un servizio pubblico, cari neoliberisti).

Poi io trovo oramai poco reali e vecchie, di argomentazioni risalenti agli anni 70/80, le diciture ideologiche neoliberiste, da cui siamo ahimè oggi continuamente ri-bombardati, che portano ad esprimersi in particolari modi tipo.. dare a prescindere,pensioni e debito, alimentano l’assistenzialismo, senza produrre “basi di evidenza” e non confrontandosi con altre scuole di teoria economica e giustizia sociale.

insomma, non ci sono prove documentabili che la difesa di un diritto minimo garantito è necessariamente la promozione di un percorso di irresponsabilità/assistenzialismo, che va pesare sui conti dello stato. non esiste questa accusa, non è supportata dai fatti.

A chi parla di scarsità di risorse ci sono tante teorie economiche che spiegano come lo stato all'interno di un sistema capitalista per esistere funziona producendo una sorta di SURPLUS. Per cui lo stato dalle tasse ha sempre a disposizione delle entrate in più da redistrubuire, la spesa funziona a deficit non a pareggio di bilancio come vuole monti e fornero.

In Inghilterra, Svezia ecc ( per cui non mi risulta il sistema pensionistico sia povero tra l’altro ) convivono da quasi un secolo con l’idea che chi non lavora va tutelato. E sono realtà dove non mi risulta non ci sia mercato. Cioè L’IKEA è nata in uno stato col reddito minimo garantito, dove c’era l’assitenzialismo...o sbaglio???

chi non ha possibilità nell’immediato di inserirsi nel sistema capitalista del mercato del lavoro ha diritto ad una PROTEZIONE DI CITTADINANZA basilare diritto umano in un paese democratico.

E se si lavora perchè un cittadino entri a far parte della comunità significa che aumentano le possibilità di crescita per tutti perchè lo stato ha a disposizione risorse umane su cui poter investire e crescere, e gestire politiche di immigrazione, il mercato ha a disposizione più consumatori e produttori, di conseguenza più lavoratori e non è obbligato a ragionare...è meglio se emigri, a te è meglio se ritorni in patria ecc ecc ecc.. può trovare alternative. le può studiare.

Insomma la conseguenza di questo è proprio negli interventi cioè: SOFFERENZA VERSO I DEBOLI (ANCHE INTELLETTUALMENTE) VERSO I DIVERSI, VERSO GLI ESTRANEI, VERSO I COLLEGHI... che li vediamo come veri nemici, come portatori del problema come coloro che ci impediscono di esprimere le nostre potenzialità da professionisti... Ma il problema non sta alla base.
chiedo scusa per la lunghezza, vi saluto. buon lavoro.
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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da pallaspina »

Mi viene da sorridere perché, per un lavoro che devo fare per un esame di introduzione alle scienze sociali, mi sono letta una serie di articoli su marxismo e capitalismo e quindi proprio sul discorso del plusvalore, Davide... :D la tua analisi é molto condivisibile. Anzi, io stavo riflettendo in questi giorni sul fatto che non é vero che "non ci sono i soldi". I soldi non ci sono per quello che non si vuole e ci sono per quello che si vuole: non ci sono i soldi nel sociale perché in alcuni paesi non si ritiene opportuno investire nel sociale. C'e' la crisi e la sobrietá, ma sto toccando con mano che il cittadino, se vuole, spende per avere servizi professionali che considera importanti, spende anche a livello privato. Se io ho un problema di salute e un medico riesce a risolvermelo, quelle 100 euro le spendo. Quello dove non si spende é per avere servizi che non riteniamo abbiano valore.
A parte queste riflessioni, io ti diró, quando ho cominciato a lavorare come a.s. orsono molti anni fa ormai, ci ho davvero provato, ma era una lotta quotidiana: contro i colleghi che appunto volevano fare il conteggio dei casi e dei contributi economici, per esempio. Io mi adiravo di fronte alla differenza con lo psicologo, ma sai qual era la risposta delle colleghe piú anziane: LUI é diverso, LUi é uno SPECIALISTA, noi siamo un PRIMO LIVELLO E PRONTO INTERVENTO e non possiamo agire cosí! Praticamente un muro di gomma che mi fece appunto decidere di orientarmi verso quella professione, lo psicologo, dove appunto adesso mi sto formando, perché ritenuta piú consona a me stessa sotto questo aspetto. Ovvero, io non sono piú disposta ad accettare questi compromessi con gli enti pubblici, non lo sono mai stata e se non lo ero a 25 anni figuriamoci se posso esserlo a 40.
Purtroppo non posso soffermarmi adesso ma torneró volentieri a leggere le vostre riflessioni che sono davvero interessanti.
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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da tabellina »

buongiorno,
giusto per precisare; il conteggio dei contributi economici non era un modo di ridurre a un numero gli utenti. era una riflessione, condivisa e partecipata tra colleghe di uno stesso Comune, per capire come stiamo agendo professionalmente.

i discorsi fatti da davide, peraltro condivisibili, non aiutano però a capire come agire professionalmente nel qui e ora.
è giusto e credo sia anche necessario che noi assistenti sociali dobbiamo essere in grado di andare più in là della pratica quotidiana e ragionare a livello di sistema assumendoci anche un ruolo di advocacy, ma è altrettanto giusto che, nel frattempo, non ci dimentichiamo di dove siamo, del lavoro quotidiano che andiamo a svolgere e della mentalità con cui ci scontriamo.
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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da davide »

grazie.
no volevo solo dire che la tua esperienza professionale pallaspina è da osservare e prendere come esempio, secondo me. la messa in discussione professionale e quella specie di fuoco che molte persone hanno dentro e che ci spinge sempre ad "andare oltre il conosciuto" ad allargare la nostra carriera/saperi/sviluppo personale è una grande risorsa. certo poi molti professionisti pagano in termini di scelte e serenità professionale questo tipo di, chiamamole battaglie, ma quello che rimane e che si lascia è importante. anche io intendo mettermi in gioco di nuovo e sento di dover studiare e confrontarmi coi problemi sempre di più.

poi ciò che scrivi tabellina, è corretto. è sicuramente un limite del mio discorso e qui esce fuori la mia immaturità professionale e/o mancanza di esperienza una cosa che riconosco. ma dico anche, senza voler riferirmi a nessuno in particolare perchè non conosco le vostre situazioni ci mancherebbe, in generale, sopratutto i professionisti che lavorano da anni, se sentono che le cose non vanno come vorrebbero, perchè anzichè aspettare che sia qualcuno a spiegare come risolvere i problemi quotidiani, potrebbere iniziare a pensare le modalità con cui tradurre nella pratica i malesseri di sistema che percepiscono, passare dal macro al micro, iniziando a dare ognuno nel suo piccolo piccole spinte...
associazioni, lettere agli ordini, convegni, sensibilizzazione professionale..seminari ecc.

la situazione che sta vivendo in questo momento la politica sociale italiana d'altronde è sotto gli occhi di tutti. è molto grave quello che stanno facendo al momento i nostri governanti. ci saranno delle conseguenze disastrose nei prossimi 15-20 anni.

questo forum è comunque un'idea davvero buona, da cui attingere spesso...
buona giornata.
annaclara
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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da annaclara »

Per Davide.

Trovo nei tuoi discorsi spesso un atteggiamento di svalutazione verso gli assistenti sociali a favore di professioni cliniche.

Non so a che titolo tu parli. Non parli da assistente sociale. Sicuramente non lo sei.

A.C.
davide
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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da davide »

ciao Annaclara. trovo nel tuo intervento un esempio pratico di ciò a cui mi sono riferito.

solo chi pratica un atteggiamento di svalutazione come te, nel tuo caso mettendo in malafede il fatto che io sia assistente sociale, quindi deleggitimando la mia persona e i miei interventi (dietro un pc) vede la svalutazione fuori di sè, quindi leggendo le opinioni e gli interventi altrui in termini svalutativi.

cioè "clinicamente.."(passami l'ironia) cosa avviene?
che quello che c'è dentro di noi.. il pre-giudizio svalutativo è quello stesso schema che ci guida quando ci confrontiamo con le opinioni diverse.

chi invece ha dentro di sè schemi costruttivi, non vede svalutazione all'esterno, ma vede occasione generale di crescita, amicizia,opinioni poco importanti magari ma pur sempre un giovane che con dei limiti prova a condividere quello che sente, letto e studiato anche con sacrificio.

quindi clinicamente, per la mia poca esperienza personale credo che lavorando sul proprio schema di giudizio interno (che hanno un pò tutti..per carità) si avranno scambi migliori per tutti.

poi vabbè non penso ci sia bisogno di dimostrare che sono Assistente sociale specialista.. per farmi una chiaccherata su un forum.
ma se il moderatore, leggendo questo intervento, intende cambiare le modalità di accesso al forum richiedento prova dell'esame di stato, titoli di laurea ecc, sono ben lieto.

buona serata.
annaclara
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Re: Servizi alternativi per situazioni di povertà?

Messaggio da annaclara »

Davide, si capisce che non sei assistente sociale, perchè non lo dici?
Nessuno ti svaluta, è però il tuo pensiero che è svalutante verso gli assistenti sociali. Non ti sembra un problema andando in un forum di assistenti sociali?

AC
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