progettare nel sociale

Per tutti quei messaggi che non hanno una collocazione precisa
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didina
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progettare nel sociale

Messaggio da didina »

Cari colleghi, vorrei approfondire l' argomento della progettazione nel servizio sociale...parlo di progetti sui casi, e non di progettazione di servzi....avete da consigliarmi dei testi sull' argomento? All' università ( è triste dirlo ma è così) nessun docente ha trattato a fondo l' argomento....
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Nazg
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Re: progettare nel sociale

Messaggio da Nazg »

Speravo che qualcuno ti rispondesse :mrgreen:
Qui sul portale c'è un approfondimento sulla progettazione
http://www.assistentisociali.org/serviz ... ociale.htm
ma forse non è quello che cerchi...per lo meno bisogna fare uno sforzo per passare alla progettazione sui casi, anche se alcune cose vanno bene sia per i servizi sia per i progetti personalizzati (es. le tappe della progettazione).

Penso che il tema "progettazione sui casi" possa essere anche affrontato in questa sede, perchè le buone idee possono nascere soprattutto dall'esperienza di tanti colleghi.
cosa ne pensi didina? proviamo ad approfondire qui questo tema?
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didina
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Re: progettare nel sociale

Messaggio da didina »

Cara Nazg, ho letto l' approfondimento sulla progettazione sul sito...ma appunto,come dici tu, bisogna fare uno sforzo per passare al progetto sul caso...Il fatto che nessun altro abbia risposto è, a mio parere,un segnale di quanto poco si faccia davvero la progettazione nel lavoro quotidiano... e di quanto, secondo me, manchi ancora una base teorica univoca per noi ass. sociali...parlo di una base teorica che ci dia specificità...e ci differenzi da altre professioni che,mi pare, abbiano senza dubbio una base scientifica consolidata...Le mie sono provocazioni, ma secondo me agiamo in gran parte sulla base del buon senso, di quanto apprendiamo nella pratica, senza avere però delle basi teoriche solide, ed è anche per questo che siamo considerate, da molti, tuttologhe...
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ugo.albano
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Re: progettare nel sociale

Messaggio da ugo.albano »

Tu intendi il case-management, ovvero la "progettazione del caso". Beh, ma è l'abc del nostro lavoro. E' come chiedere agli infermieri che cos'è un'iniezione....

E' che il quesito posto, col titolo "progettare nel sociale" è troppo generico.

Nel servizio sociale ci sono diverse scuole di pensiero, in parte derivanti dai classici "modelli" anglosassoni, diversi (nuovi) sviluppati da colleghi italiani. A me viene in mente Colaianni col suo modello narrativistico-dialogico, ma pure il collega Quercia con il colloquio motivazionale.

Consiglierei di leggere i libri di questi colleghi, o (ri)leggere i vecchi classici della Dal Pra Ponticelli. Ciò per capire quale modello di case-management può interessare, per poi approfondirlo con corsi.

E, per cortesia, smettiamola di dire "all'università non lo hanno insegnato" e che lavoriamo "col buon senso". Questo ci provoca un disonore che non meritiamo. Ognuno parli pes se. Quand'anche fosse vero che la formazione universitaria è scarsa, i "buchi formativi" si recuperano, studiando. Esistono le librerie ed i corsi.

Buona giornata.
Ugo Albano

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tabellina
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Re: progettare nel sociale

Messaggio da tabellina »

buongiorno,
è vero quello che dici,Ugo, che la progettazione sui casi dovrebbe essere il nostro pane quotidiano, ma è altrettanto vero che all'università si studiano molti modelli di progettazione sul caso a un livello molto teorico e, sinceramente, anche tutti i corsi che ho frequentato fino ad adesso li ho ritenuti insuffcienti in questo senso.
iniziare a lavorare mi ha permesso di vedere un pò di questa teoria applicata alla realtà ma, quello che mi mette più in difficoltà, è la scelta di uno di questi modelli di progettazione, da poter dire: sono un'assistente sociale che utilizza questo modello piuttosto che un altro..
voi vi sentite appartenere a un modello piuttosto che a un altro?
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ugo.albano
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Re: progettare nel sociale

Messaggio da ugo.albano »

Lo sforzo da fare è quello di scegliere un modello e praticarlo.

Ciò nessun servizio ce lo chiede. E non dimentichiamo di farlo.

Chiediamo sempre agli altri "quale modello usare".

Dobbiamo chiederlo a noi. Ripeto: ci sono i manuali, anche quelli universitari, risfogliamoli (se non ce li siamo venduti o se li abbiamo fotocopiati....) e facciamo una scelta.

Se invece non si sa neanche cosa scegliere, si resta con frustrazione di una mancanza di cui non si capisce il senso. Ne consegue che si sposa il "modelo del burocrate".....

Saluti.
Ugo Albano

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Nuvoletta
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Re: progettare nel sociale

Messaggio da Nuvoletta »

Carissime Didina e Tabellina,
credo che nessuno abbia risposto perchè pochi, e io non sono tra questi,è in grado di dirti quale modello usa e se lo usa nella progettazione nei casi. Il modello, secondo me, è uno strumento utilissimo nelle prime esperienze lavorative perchè (indifferentemente quale modello scegli) è un "telaio" che sostiene il processo logico attraverso il quale, con le conoscenze scientifiche >(sociologiche, psicologice ecc.) che possedi, puoi decodificare e comprendere la realtà(della persona, del problema, del contesto). Il modello aiuta ad usare il processo logico per costruire un progetto di azioni e indicatori coerenti per raggiungere l'obiettivo utilizzando le conoscenze legislative, organizzative, valutative che possedi. . Quando ti impratichisci nell'usare il processo logico che qualcuno chiama anche "buon senso", butti via il telaio e dopo un po' non te lo ricordi più.Tutto questo è poco professionale? Siamo sicuri?
Proviamo a chiedere ad un medico quale modello usa per fare la diagnosi e scegliere la terapia. Ti risponderà WHAT? Prova a chiedergli se il mestiere glielo hanno insegnato all'Università. Ti guarderà con due occhi sgranati e ti risponderà NOOO all'Università ho studiato tanta e tanta teoria, il mestiere l'ho imparato in reparto da quel bravo primario. Chiedi al bravo primario con il suo codazzo quale modello usa con i suoi praticanti. Ti risponderà "baby io non insegno un modello io insegno il mestiere. Faccio vedere come si fa e costringo i giovani ad usare il processo logico e tanto buon senso per riconoscere quello che hanno studiato negli stomaci, nelle vene, nelle pelle dei loro pazienti".
Ciao
tabellina
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Re: progettare nel sociale

Messaggio da tabellina »

buongiorno,
mi rivolgo a Ugo: non ho chiesto, qui, in questo forum, quale modello usano altri colleghi perchè "devo chiederlo ad altri" e avere così l'ispirazione dall'alto :lol:
lo chiedo per potermi confrontare!
ritengo tutti i modelli studiati utili e interessanti e credo che a seconda dei casi che mi sono trovata ad affrontare sul lavoro, io ne abbia utlizzati diversi, perciò la scelta di un modello la trovo difficile!
perciò ripropongo la domanda: voi vi trovate meglio con uno in particolare?
didina
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Re: progettare nel sociale

Messaggio da didina »

Ugo, quando dici " non diamo tutte le colpe all' università" in parte hai ragione,ma in parte non sono d' accordo...perchè ritengo che all' università ci dovessero dare almeno una base "minima" di conoscenze di tipo professionali, che, ti assicuro, io non ho avuto...Alcuni colleghi non si pongono neppure il problema non si mettono in discussione...Io ritengo di avere delle carenze nella mia formazione, alcune ho cercato di colmarle con lo studio come dici tu di libri, la rilettura o lettura di testi di approfondimento, ma non è facile, soprattutto quando proprio non si hanno avuto appunto delle basi MINIME...Io ritengo di avere avuto una formazione molto scadente, nessun docente di metodi e tecniche ci ha ad esempio mai parlato di modello narrativo....o altri tipi di modelli ....E' vero che ci si deve aggiornare, ma un conto è appunto approfondire alcuni aspetti o problematiche altro è doversi proprio formare completamente perchè non si sono avute le minime basi...
E' vero che il lavoro sul caso è il nostro pane quotidiano, ma, ti assicuro, che molto è lasciato al buon senso..Io lo vedo anche confrontandomi con le colleghe che lavorano nei Comuni...alcune non si mettono neanche in discussione, sono " burocrati" e a loro va bene così...se parli di tecniche di conduzione di un colloquio, per esempio, ti guardano storto...Comunque seguirò il consiglio di approfondire attraverso i testi che hai citato...
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Re: progettare nel sociale

Messaggio da pallaspina »

Io mi sono formata con il modello sistemico-relazionale, a Pisa nel lontano 1992 imperversava Roberto Mazza ed era tutto sistemico. Poi ho fatto un master in mediazione familiare sistemico-relazionale. Quando ho cominciato a lavorare, ho scoperto il lavoro di rete della Sanicola e, grazie a una collega che aveva fatto la formazione con lei a Parma, lo abbiamo applicato in alcuni casi di affido. Mi sono letta tutto quanto esistente in materia e ci ho fatto la tesi della specialistica a Trieste.
Sono imbevuta di sistemica, non posso fare a meno, ma devo dire che trovai rivelatore il modello di rete per il lavoro sul territorio. Oggi, che non opero piú e mi avvicino alla meta della laurea in psicologia all'estero, mi accorgo quanto devo al modello sistemico, davvero tanto, che mi sta salvando dal cadere in certi riduzionismi piuttosto pericolosi (un compagno mi ha detto che ho un approccio "olistico" e lo considero un bel complimento). Questa é stata la mia esperienza, a me i modelli sono serviti molto.
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Re: progettare nel sociale

Messaggio da didina »

Cara pallaspina, beata te che hai potuto avere una formazione degna di questo nome......e sicuramente ci hai messo molto del tuo per approfondire....Io non voglio sembrare polemica, ma ritengo che la formazione all' università sia estremamente importante, acquisire poi le conoscenze che non hai, dopo, mentre lavori, non è certo impossibile ma molto complicato....anche perchè un conto è approfondire ( l' uso di un modello, per esempio) un altro è formarti completamente da solo, perchè all'università i docenti non hanno mai neppure fatto accenni.....
pallaspina
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Re: progettare nel sociale

Messaggio da pallaspina »

Quello che dice Nuvoletta é vero, peró dobbiamo considerare che la medicina é una scienza "forte", o almeno molto piú forte di altre, e quindi ha una metodologia consolidata. I medici non studiano "metodologia della medicina", é qualcosa che si dá per implicito ed é appunto il "mestiere" che si apprende sul campo. Ma prima di arrivare a questo, il medico ha studiato 50 esami di contenuti tecnici (anatomia, patologia, etc.). Non é poi totalmente neppure vero che il medico non segue un modello. Questo puó essere vero per al medicina classica, clinica, "dura" che oggi é molto in crisi perché riduttiva. I medici giovani oggi si indirizzano verso la psicosomatica o anche l'omeopatia, l'osteopatia, cose che, in generale, indipendentemente dalla maggiore o maggiore scientificitá, incarnano un modello piú olistico e cozzano appunto con il modello medico tradizionale del primario arrogante con il suo codazzo passivo. Questo modello oggi non dá piú risposte sufficienti e soprattutto non si attaglia affatto alla definizione della OMS sulla salute, stato di equilibrio fisico, psichico e sociale. Dunque, tornando al discorso iniziale, quello che ogni professionista fa quando comincia a operare é una parziale decostruzione del suo bagaglio di competenze: andrá a mettere in discussione una buona parte, terrá una minima parte, amplierá quello che gli interessa e andrá a formarsi in quello che é mancato totalmente o parzialmente. Come é possibile peró andare a "decostruire" se non si é nemmeno costruito? So che ogni universitá é diversa, peró io parlo della mai esperienza pratica come tutor di studenti di Pisa. Quello che mi verbalizzavano i ragazzi é che gli avevano riempito la testa di sociologia ed economia. Io ricordo che almeno ai miei tempi si faceva ottimamente la metodologia del processo di aiuto e del colloquio (con Roberto Mazza, appunto). Adesso non lo fanno. Dunque, come si puó dire "baby, io non seguo un modello, io pratico un mestiere" se non si sono appresi i rudimenti basici di quel mestiere? le universitá non si pongono seriamente questa domanda? e gli ordini?
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