due questioni....

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pallaspina
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due questioni....

Messaggio da pallaspina »

Salve colleghi, in questo inizio di giornata ferragostana, lancio due temi sui quali sto riflettendo da qualche giorno. Premetto che attualmente non sto svolgendo la professione ma l'ho fatto per 12 anni, ho la laurea magistrale e sono mediatrice familiare e attualmente sono alla fine del corso di laurea in psicologia, peró all'estero, dove vivo da 3 anni.
Non ho per ora omologato il mio titolo perché per finire la carriera in psicologia non posso contemporaneamente lavorare, peró comincia a stuzzicarmi il desiderio di provare a farlo visto che la permanenza fuori dall'Italia sará probabilmente definitiva.
Non conosco quasi nulla dello stato dell'arte della professione dove vivo, in Spagna; da quel poco che so é abbastanza diverso dall'Italia, almeno per il fatto che qui esiste un reddito minimo di inserimento e che quindi l'assistente sociale é meno coartato dalle richieste economiche e svolge piú un lavoro di assessment e accompagnamento; inoltre c'e' molto privato sociale e quindi in realtá il settore pubblico non é il principale ambito di lavoro dell'assistente sociale, che lavora spesso fuori del pubblico e in equipe con altri professionisti. Ho anche scoperto che esiste una specializzazione in "trabajo social clínico", aspetto assai interessante (ho anche trovato delle referenze bibliografiche peró in spagnolo); devo dire che sono rimasta stupita perché anni fa, cominciando a confrontarmi con la professione, avevo elaborato la fantasia di un lavoro sociale "clinico", basandomi appunto sul fatto che mi occupavo, nel Comune con i minori, di aspetti molto delicati e spesso non ricevevo il supporto dei colleghi psicologi e neuropsichiatri: valutazioni di idoneitá genitoriale, ma anche semplicemente il counseling nel progetto di vita di persone spesso portatrici di grossi disagi psicologici se non psichiatrici. Fu questa la motivazione di base che mi spinse a inscrivermi a psicologia, per avere prima di tutto qualche strumento in piú a livello professionale nel maneggiare queste situazioni. Dunque quando ho letto che in Spagna esiste una specializzazione post-laurea in "lavoro sociale clinico" ho pensato che questo era proprio quello che avrei desiderato anni fa.

Ora vado a introdurre una domanda che per me é abbastanza chiave per decidere se, in futuro, ritentare di mettermi in gioco nella professione oppure buttarmi solo sulla psicologia (ma onestamente, visto che invece la branca della psicologia clinica non mi entusiasma anche se sto prendendo la specializzazione in clinica perché mi interessava averla, non mi dispiacerebbe fare qualcosa in ambito sociale e sfruttare la mia esperienza pregressa).

Secondo voi.... É giusto e opportuno che, mentre uno psicologo/psichiatra o comunque specialista sanitario, possa in autonomia decidere di interrompere una presa in carico perché l'utente non puó beneficiarne, perché non ha gli strumenti per portarla avanti o perché, comunque, il carico di lavoro del professionista lo impedisce.... e invece l'assistente sociale no?

Saró esplicita. Quando lavoravo, gli psicologi mi dicevano che facevano solo tre colloqui con la persona; poi, se necessitava altri, li distanziava molto nel tempo o addirittura invitava la persona a rivolgersi al privato. La motivazione (oggettiva, eh...) era che l'organico dei professionisti di quella ASL era carente e i pochi psicologi in servizio non potevano oggettivamente garantire un servizio di qualitá, per cui facevano questa scelta e si concentravano sui casi dove c'era magari la prescrizione del tribunale per i minorenni. Inoltre se la persona non collaborava, loro dicevano che per l'effettivitá del loro trattamento serviva la collaborazione, per cui in caso di mancata compliance, la "dimettevano". Per non parlare della psicoterapia, per somministrare la quale la persona doveva (giustamente) avere strumenti intellettivi oltre che collaborazione e desiderio.

Invece, io assistente sociale dovevo seguire per anni situazioni dove non c'era magari nessuna collaborazione ma solo strumentalizzazione (esempio: richiesta di soldi) solo perché, come mi diceva il responsabile, noi non siamo specialisti ma un servizio di primo livello (magari nel SERT é diverso, peró io lavoravo in un Comune). In teoria so bene che abbiamo la nostra autonomia e quindi possiamo e dobbiamo interrompere l'intervento se mancano i requisiti progettuali. Un esempio tipico é la persona che solo chiede soldi ma non vuole mettersi in gioco... Peró poi, all'atto pratico, la persona che si presenta e insiste di essere seguita dall'assistente sociale ANCHE SE non collabora, la dobbiamo comunque accogliere. Anche perché, per esempio, il fatto che per parlare con uno psicologo si debba quantomeno pagare un ticket, dissuade chi non vuole impegnarsi: ma visto che qualunque cittadino ha diritto di andare dall'assistente sociale, in teoria la stessa persona puó venire a chiedere soldi, piantare casino e protestare anche all'infinito.

Questa é la prima criticitá, che in Spagna si presenta un pó diversa visto che l'assistente sociale non propone direttamente interventi economici al di fuori di quanto garantito per legge (o per lo meno, é un intervento molto molto residuale e generalmente viene portato avanti dalle Caritas; e per quanto riguarda lo psicologo, c'e' una base garantita dalla sicurezza sociale peró poi quasi tutti hanno una assicurazione privata che copre i costi di alcuni interventi psicologici e terapeutici in ambito esterno al pubblico).

La seconda domanda che mi faccio, e me la faccio da anni, é se non sarebbe il caso che l'assistente sociale facesse un percorso di psicoterapia personale. Questo non é obbligatorio nemmeno per gli psicologi; io personalmente ho deciso di intraprendere, dopo la laurea in psicologia, un percorso di formazione in psicoterapia Gestalt e ho deciso di cominciare ora il percorso di terapia personale richiesto ai fini della formazione, anche perché oggettivamente ne ho sentito il bisogno. Quando facevo l'assistente sociale avevo oggettivamente molte riserve in merito perché pensavo soprattutto che non fosse "giusto" che un professionista pagato cosí poco rispetto al peso delle sue responsabilitá e con un lavoro cosí usurante a livello mentale, dovesse anche togliere dal magro stipendio i soldi per "curarsi" (in effetti, i costi non sono bassi e io ironicamente ho pensato di avere davvero sbagliato carriera, perché se avessi studiato psicologia come prima carriera, a quest'ora sarei psicoterapeuta, fatturerei come minimo 50 euro a sessione che é veramente il minimo-minimo che chiedono i principianti e, facendo i conti della serva, con 5-6 pazienti alla settimana mi farei lo stipendio!! Ma questo é un pensiero irrazionale, in quanto quello che é stato, é stato).
Ora si dá il caso che io abbia fatto solo una prima sessione tra l'altro introduttiva, ovvero non ancora terapeutica, e sia rimasta quasi spaventata dalla sua effettivitá, ovvero guarda caso ieri ho improvvisamente risolto un grave problema di relazione con una persona che mi angosciava da tre anni e parzialmente aperto uno spiraglio nella relazione con un'altra. Ovviamente avevo presentato questi due problemi al terapeuta e li avevamo lasciati per settembre; lui mi aveva solo fatto da specchio e mi aveva detto che io affermavo razionalmente una cosa ma poi mi ponevo, verso questa persona che tanto mi angariava, evidentemente con atteggiamento opposto.
Riporto questa breve sisntesi solo per sottolineare l'effettivitá della terapia, ovviamente in una persona predisposta al cambio, ovviamente se lo psicoterapeuta é quello adeguato visto che non tutti i terapeuti e non tutte le correnti sono uguali (come non tutti i pazienti).

E da lí ho avuto chiarissima la visione di quante volte, come assistenti sociali, proiettiamo sull'utente, magari nostre questioni irrisolte.


I supervisori e colleghi sempre mi dicevano: "ma noi assistenti sociali non andiamo nel profondo e non facciamo terapia; quindi basta restare in un livello di realtá".

Giá, ma alla fine, in Italia (in Spagna é ancora diverso) nemmeno lo psicologo "semplice" puó fare terapia; per fare terapia bisogna fare un percorso di formazione in psicoterapia.
E soprattutto, é molto labile il confine tra consulenza e terapia, come mi fece notare una brava collega psicologa, che mi diceva che molto spesso, senza saperlo, un bravo assistente sociale é terapeutico verso l'utente e che molti interventi sociali sono di per sé terapeutici (e questo mi riporta all'idea del "lavoro sociale clinico").

E soprattutto, anche senza fare nessuna terapia, il fatto che una persona ci presenti anche solo un problema sociale ci fa necessariamente risuonare qualcosa dentro, e lí si apre un mondo delle nostre esperienze personali che hanno plasmato la nostra personalitá.

So che molti di voi non saranno d'accordo come, vi dico, molti colleghi psicologi spagnoli RIFIUTANO l'idea addirittura delle psicoterapia (voglio dire, non solo dicono "io, in psicoterapia, MAI" ma addirittura dicono che non é effettiva e qui si apre secondo me una voragine nell'identitá professionale... perché se come psicologo non prescrivi farmaci e non fai terapia-psico... allora che fai??? :mrgreen:

Ma lo lascio qui, per riflettere. Io semplicemente e serenamente ho chiaro che il mio percorso sará la terapia personale (che giá mi sta funzionando) e la formazione futura in psicoterapia; se in questo ci sará un piccolo posticino per essere anche assistente sociale, oggettivamente ne sarei felice).
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Re: due questioni....

Messaggio da ugo.albano »

Cara Pallaspina,

certo che a ferragosto porsi queste questioni profonde col caldo che fa non è facile :D :D

Mi sa che siamo soli io e te. Il 15 agosto tutti gli italiani sono in giro. Poi penso che il caldo non aiuti a connettere i neuroni per le tue riflessioni, che sono articolate. Proviamoci.

Tu poni due questioni:

1) è giusto e opportuno che un sanitario possa in autonomia decidere di interrompere una presa in carico e invece l'assistente sociale no?

2) é se non sarebbe il caso che l'assistente sociale facesse un percorso di psicoterapia personale?

Prima risposta. Il problema non è personal-professionale, ma organizzativo. E' la collocazione lavorativa che permette di cessare il rapporto di aiuto o meno: nella libera professione il rapporto fiduciario è il presupposto, sia io psicologo, assistente sociale o idraulico. Nella dipendenza, invece, siccome è l'organizzazione che ha una "funzione" (prendere in carico comunque), chi vi lavora ( psicologo, assistente sociale o idraulico) deve farvi fronte.

Poi ci sono le "variabili italiche": i clinici, anche se dipendenti, a volte si comportano come degli esterni. Di conseguenza il "sociale" è solo quello che non è "clinico" . Probabilmente ciò è pure permesso dai vertici. Parliamo quindi di "andazzi irresponsabili" e di "sottoculture" che plasmano nel quotidiano le azioni.

Da noi venti anni di Berlusconi hanno significato questo: ognuno fa quel che vuole e nessuno dice niente. Anzi prevale il più forte: nel nostro welfare se tutto il lavoro di aiuto è "clinico" è perchè l'università e la politica, governate da precise lobbies, hanno plasmato le opportunità a favore di alcuni, ma svuotando (di contenuti e competenze) proprio gli assistenti sociali.

Questi ultimi, poi, figli di questo sistema formativo e politico (intendo i giovani), depotenziati nelle competenze e svuotati nell'anima, si adattano al gioco. Il "srvizio sociale" è: a) quello delle missioni impossibili; b) quello del "lavoro sporco"; c) quello del lavoro esecutivo; d) quello che "non è degli altri".

Il problema è che il gruppo professionale ste cose non le capisce. Anche una "visione critica" viene percepita come "polemica" (il Berlusconismo, appunto).

Ma basta superare la frontiera per capire che noi viviamo in un delirio. Il servizio sociale è una scienza consolidata e con specializzazioni varie (dal management al percorso clinico) all'estero, da noi è invece ancora un "fungere da don Chisciotte" per Amministrazioni paracule (scusa, ma quando ci vuole ci vuole) che usano le politiche solo a fini di consenso.

Che dirti? Io la vedo nera. E' il gruppo degli assistenti sociali che si sta impoverendo e che sta lasciando il campo agli psicologi. Ti faccio un esempio: sempre su questo forum abbiamo discusso a lungo sulle "capacità genitoriali".... se rileggi tutto, ti rendi conto come i colleghi questa competenza (che è solo osservativa, ovvia...) non se la sentono.

Ora che gli Enti pubblici sono bloccati sulle assunzioni (viva Dio....) i colleghi sono "costretti" ad andare sul mercato. E li devi essere competente, non è che fai il tuttologo e poi "smisti" verso i clinici.....

Seconda risposta. ..(che è collegata alla prima). Certo che si. Se i servizi funzionano male, è perchè ci lavorano persone poco preparate. La preparazione universitaria è diventata una "raccolta punti", come al supermercato, ne hai 180, ed allora sei laureato. Che poi io sia "personalmente incapace" (perchè proiettivo, evitante, manipolante) non gliene frega niente a nessuno. Basta vedere i concorsi ed i colloqui: nonostante i decenni di tecniche di selezione del personale, non si verificano le capacità personali. All'estero è la prima cosa, invece!!!

Ma io non generalizzerei. C'è anche una buona parte di colleghi che lavora su se stessa, con psicoanalisi, con supervisioni. A me capita di dare consulenze a colleghi in cui, prima o poi, ri-andiamo all'assetto motivazionale della scelta, e le cose in qualche modo si mettono a posto.

Se vuoi questo è una nicchia di mercato: il coaching ai colleghi, in cui rivedere il proprio percorso professionale in chiave di "benessere personale" per scelte opportune.

Cara Pallaspina, io credo che tu debba fare una scelta. Hai fatto il pezzo dell'assistente sociale (in Italia, che, come detto, è un'altra cosa rispetto al mondo), ora mi sembra naturale che tu faccia la psicologa in Spagna. Queste riflessioni non ti fanno bene, anche perchè parli di una "cosa" temporalmente e geograficamente sempre più distante, è come cercare connessioni con i fantasmi.

Anche come psicologa, noi ti vorremo sempre bene. Ma non ci considerare come il tuo passato. La vita si evolve non solo in Spagna, pure in Italia. Grazie a Dio!!!
Ugo Albano

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Re: due questioni....

Messaggio da pallaspina »

Caro Ugo, che dire... risposta come sempre esaustiva e perfetta!
Bé, io ero per qui perché sostanzialmente, con i figli e la giornata da organizzare, con il ragú da mettere al fuoco, il salmorejo da fare e la pasta della pizza da mettere su per la cena... Ho spedito mio marito e i pargoli al parco!! 8) E poi alla sera sono andata a vedere una bella mostra sull'arte giapponese e, casualmente (ma vah????), siccome il biglietto valeva per 4 mostre, mi sono vista un filmato super-interessante proprio sulla salute mentale.
Inoltre, dopo la litigata di ieri con la persona in questione (che é, casualmente, una psicologa pazza), durante la quale in un'ora al telefono le ho vomitato tutto quello che non sono riuscita a dirle in quasi 3 anni.... e dopo che le ho detto che vada dallo psicoterapeuta ma soprattutto (soprattutto) dall'assistente sociale... Ho avuto bisogno di smaltire l'adrenalina causata prima di tutto dalla telefonata (ero abbastanza su di giri) e poi dal sentimento di potenza che mi é derivato dal (finalmente!) riuscire a sbloccare quello che non riuscivo a fare da tre anni... ossia maltrattarla... Sai quella improvvisa sensazione di sentirsi up da down che credo di aver sperimentato solo quando si riesce, dopo molti tentativi a vuoto, a "prendere" l'utente per il verso giusto e portarlo dove vogliamo noi.... :mrgreen: Come se una forza improvvisa ci possedesse!!!!
Insomma, hai totalmente ragione. :roll:
Peró mi piace che chissá, da queste riflessioni scaturisca qualche buon spunto per le nuove "leve". Tu me ne hai dato qualcuno che non avevo considerato...
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Re: due questioni....

Messaggio da ugo.albano »

Beh, non ci sono solo psicologi pazzi , ci sono pure assistenti sociali imbranati....

Secondo me la vita è come il maiale: non si butta via niente.

Mi spiego: col tuo background di servizio sociale e con il tuo percorso in psicologia, con la tua conoscenza di due contesti diversi (Italia e Spagna) dovresti poter capitalizzare competenze di tutto rispetto.

Per esempio: perchè non offrire percorsi di coaching al personale di aiuto? Supervisioni? Se ti si addrizzano le orecchie, scrivimi in privato!

Ugo

PS: ma tu la pizza la fai con la "pasta pronta"?? Ahi ahi ahi ...
Ugo Albano

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Re: due questioni....

Messaggio da pallaspina »

Era proprio quello che stavo pensando, sai.... coaching al personale di aiuto. Solo che il problema pratico é che non posso farlo se non ho o la laurea in servizio sociale omologata, o la laurea in psicologia che avró solo a gennaio 2015. Omologare il titolo in servizio sociale é complesso, costoso e dovrei sicuramente dare altri esami e magari rifare il tirocinio e, siccome a marzo comincio il primo tirocinio di psicologia e lo devo compaginare con gli ultimi esami... non lo vedo praticabile. Comunque vedrai che ti scriveró in privato. Nel frattempo, causa sbrocco, ho avvisato la famiglia che appena vedo la luce nel tunnel della laurea, ovvero appena ho finito i tirocini, mi cerco un lavoro a razzo. Ho dato un'occhiata alle offerte anche solo per diplomati e c'e' qualcosa, per il fatto di saper parlare e scrivere varie lingue. Mio marito dice: eh, ma pagano poco... Sí, anche in Italia mi pagavano poco, peró la mia salute mentale vale la pena di spendere anche tutto lo stipendio in baby sitter e colf XD
Per la pizza... ho una bella macchina del pane che fa una buona pasta. Poi, per le occasioni speciali, la impasto a mano, ora che ho cominciato a vedere la luce dopo il terzo figlio!!!
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Re: due questioni....

Messaggio da Nazg »

Arrivo tardi...anche se ieri ho visto il post, ma non ho avuto la forza di leggerlo tutto :mrgreen: :lol:

Innanzitutto complimenti per i tre figli e l'aggiornamento professionale.

Rispetto alla prima domanda:
Molto dipende dall'organizzazione in cui è inserito l'operatore, nel senso che l'assistente sociale che lavora in un ente locale ha compiti e responsabilità diversi da coloro che operano nei servizi specialistici.
Io che lavoro su due comuni lo vedo quotidianamente: devo accogliere tutti, pare che sia tutto mio...anche se poi non è proprio così, ma intanto l'accoglienza è un passaggio che bisogna fare.
Nei servizi specialistici invece pare che ci sia un'altra musica: se il paziente non collabora è un problema suo; prendiamo in carico solo se c'è un decreto del T.M.; questo è più matto che tossico (o viceversa) quindi non è di mia competenza; o robe simili....
Ho appena segnalato un caso a tre servizi specialistici diversi (csm, sert, servizio handicap adulti) e adesso vediamo come andrà a finire! :twisted:

La tua seconda domanda a me pone un'altro interrogativo: psicoterapia personale o supervisione professionale?
Penso che ogni strumento per aumentare la propria riflessività sia importante per stare bene e fare bene il proprio lavoro.
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Re: due questioni....

Messaggio da pallaspina »

Conosco bene questi giri :twisted: ... servizi specialistici che si scannano e dibattono su "quale cappello lo fará"... A me ricorda tanto, ma tanto, un bellissimi scritto di Maggian, che raccontava una epopea degli anni 70 in cui una quindicina di enti si carteggiarono per 3 anni dibattendo chi dovesse assistere un minore sordo con handicap e illegittimo.... :cry: E alla fine non lo assistette nessuno... La 833 fu un grande passo avanti ma poi ci si fermó lí, le societá della salute sono naufragate perché se non c'e' la testa, non ci puó essere il contenuto: se non si capisce che questi temi sono olistici e globali.... possiamo avere una facciata modernissima ma un contenuto preistorico.

Purtroppo oggi per noi il finale é: la risposta specialistica é scarsa o assente. la risposta sociale invece ci deve comunque essere e se non c'e' la dobbiamo inventare.

Supervisione o psicoterapia? Io direi: entrambe.
La supervisione l'ho sperimentata e mi sono battuta per averla come servizio e, diciamo, l'ho personalmente organizzata e penso sia IMPRESCINDIBILE. Ma una psicoterapia é, penso, altrettanto importante perché riesce a connettere il cambio personale con il cambio professionale.
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Re: due questioni....

Messaggio da davide »

sono questioni interessantissime. condivido molto di ciò che è stato detto. io pallaspina, sono molto interessato ad acquisire competenze psicologiche e ad unirle a quelle pedagogiche sociologiche e di servizio sociale. con quella psicologica completerei il poker, il mio obiettivo. e mi ritroverei un percorso simile al tuo, anche se ovviamente lo sguardo filosofico-pedagogico della mia laurea è la mia vera base epimestologica, sia per il lavoro di comunità si per il lavoro sui singoli. il cuore delle professioni d'aiuto deve necessariamente passare per un percorso di e-ducazione cioè di e-duzione (togliere fuori).

da pedagogista, quindi da conoscitore delle necessità formative dei profili professionali per cui ho studiato, la mia opinione è che un percorso di analisi personale sia essenziale per tutte le professioni di aiuto indistintamente. io lo renderei un percorso obbligatorio per tutti i cittadini italiani, ma questa è un'altra questione.

vengo da un percorso di psicoteria dinamica/psicoanalisi, convalidabile come primo anno di training nelle scuole di psicologia analitica qua in UK. l'ho già detto in un altro post ora lo ripeto, è incredibile che pedagogisti e assistenti sociali non possano accedere alle scuole di psicoterapia.

in Italia la lobby della "sanità" ha decretato che la psicologia e la medicina sono gli unici percorsi formativi adatti all'arte della psicoterapia. hanno monopolizzato la professione del psicoterapeuta che non ha niente di esclusivo con la psicologia o con la medicina. è pietoso. lo psicologo fa lo psicologo, il medico fa il medico, l'assistente sociale fa l'assistente sociale, ma quando si fa psicoterapia si fa lo psicoterapia non è un medico o psicologo che fa lo psicoterapeuta.

ma basti pensare come la lobby della sanità abbia rubato anche la professione di educatore al sociale rendendola sanitaria, aprendo il corso di laurea in educazione professionale.

cosa ha a che fare l'educazione con la medicina?abbiamo introdotto il concetto di diagnosi e cura e l'approccio medico dapertutto.

le logiche di sottopotere e il familismo italiano sono davvero di una tristezza infinita.
dite pure che mi sto lamentando ma un paese che prende, scusate la parola, a calci in culo i professionisti del sociale separandoli dal sanitario è davvero commovente.

la multidisciplinarietà si dovrebbe compiere in un percorso individuale cosi si vedrebbe tutto un altro gioco d'equipe.

il termine clinico presume un approccio olistico, non si è mai visto che la cura della sofferenza mentale sia appannaggio della "psiche", dei test psicodiagnostici o degli psicofarmaci e sia slegato da una lente sociale e filosofica.

va contro tutte le scoperte scientifiche in campo educativo, fisico, chimico, medico, psicologico,sociale, sociologico, antropologico.
staccare la personalità dal corpo e estrapolarla dall'impatto di gruppi e società è di un ignoranza pazzesca.

gli stessi psicologi dovrebbero lamentarsi e chiedere rispetto per la loro formazione cosi rigida e slegata dai mutamenti socio-culturali della società complessa in cui viviamo, dove il concetto di malattia è solo unicamente occidentale.

inoltre entrando nel tecnico non si capisce come sia possibile che la tutela dei minori, operata dai servizi sociali possa essere fatta solo con strumenti socio-normativi e politico sociali e non psicologici o educativi. mi fanno sorridere quelle gentili concessioni dei due esami di psicologia sociale e dello sviluppo.

la supervisione poi, non ha niente a che vedere con la psicoterapia. e di certo non si avvicina minimamente al lavoro individuale e umano che si compie con un lungo lavoro personale, decontestualizzato dalle logiche organizzative dove si opera. tutte e due necessaria come l'acqua secondo me.
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Re: due questioni....

Messaggio da pallaspina »

Io infatti non ho mai capito perché, in Italia, io, assistente sociale con esperienza di case-work, che avevo dato all'universitá: psicologia generale; psicologia sociale; psicologia dinamica e dello sviluppo; psicologia applicata e psicopatologia.... non potessi accedere alle scuole di psicoterapia, mentre il medico sí... che magari, se aveva dato un esame di psicologia, giá era grassa.
Comunque.
Una parte di responsabilitá é della nostra cetegoria, che piú volte storicamente si é posta in maniera indifferente rispetto a temi quali la laurea, la dirigenza e anche questo. Voglio dire, sembra proprio il complesso di Cenerentola: abbiamo declinato alcune competenze rivendicando una presunta "specificitá" al momento stesso in cui la specificitá la perdevamo e le altre professioni riempivano i buchi da noi lasciati. E oggi, nello scenario attuale dove cade l'unica nostra roccaforte, il pubblico, non abbiamo tanta facilitá di riciclarci. Solo l'accesso alla formazione terapeutica, aprirebbe una nicchia di mercato per la categoria non indifferente (che ovviamente psicologi e medici ora si guardano bene dal mollare).
In Spagna é al contrario. I confini tra le varie professioni sono molto duttili, peró l'accesso alle scuole di psicoterapia é permesso a cani e porci. É anche vero che, come tu dici, una buona scuola di psicoterapia in 4 anni ti insegna a fare questo mestiere. Ed é anche vero che le scuole veramente serie non certificano chi non ha una certa preparazione di base, ovvero chi non é psicologo, assistente sociale, educatore, ecc. Certi percorsi piú clinici sono anche preclusi a chi non é medico o psicologo, ma parlo di settori quali le neuroscienze e questo lo capisco (io in questi tre anni ho studiato neuroscienze, genetica, farmacologia.... In Spagna la psicologia richiede una buona base medica ma non trascura affatto la parte sociale, anzi gli esami sociologici sono moltissimi).
Che dire, io auguro alla categoria italiana che in qualche modo rinnovi se stessa, anche se, al momento attuale, non é che veda molti spiragli....
Mrc Brz
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Re: due questioni....

Messaggio da Mrc Brz »

pallaspina ha scritto:Io infatti non ho mai capito perché, in Italia, io, assistente sociale con esperienza di case-work, che avevo dato all'universitá: psicologia generale; psicologia sociale; psicologia dinamica e dello sviluppo; psicologia applicata e psicopatologia.... non potessi accedere alle scuole di psicoterapia, mentre il medico sí... che magari, se aveva dato un esame di psicologia, giá era grassa.
Comunque.
Beh, mi sento di dire in questo caso che per accedere a una scuola di psicoterapia , grazie a Dio ( :lol: ) bisogna avere una preparazione di base a livello farmacologico che forse solo a medicina viene fornita... Molto meglio infatti gli psicoterapeuti (ancora meglio a mio giudizio analisti) che hanno una laurea in medicina e non in scienze delle merendine. Parere personale eh, non si offenda nessuno stavolta! :D
pallaspina
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Re: due questioni....

Messaggio da pallaspina »

Opinione personale, appunto. Lo psicoterapeuta non somministra farmaci, infatti, e generalmente usa tecniche per le quali ammetto che possa essere utile conoscere le basi della neuropsicologia e soprattutto della psicopatologia, ma non della farmacologia. Non a caso sottolineavo che ci sono indirizzi di terapia neuropsicologica dove allora, sí, vedo ragionato accettare medici e psicologi.
Capisco anche quello che dici che la laurea in psicologia é molto limitata. Io mi iscrissi pensando che fosse rivelatrice e l'ho trovata molto limitata (sebbene, almeno, in Spagna sia piú pratica che in Italia, almeno). Credo peró che sia estremamente arricchente soprattutto per chi come noi ha giá un bagaglio con l'utenza e capacitá di counseling (diversamente, credo che sia proprio questo quello che le manca: tanta clinica, tanto DSM, tanto comportamentismo -almeno in Spagna- ma poca "ciccia" per quello che riguarda l'empatia e il colloquio non direttivo.
Tuttavia, sono piú d'accordo con Davide quando dice che l'errore é medicalizzare tutto. Se tu a posteriori ti rendi conto che la carriera che ti quagliava maggiormente era quella di medico, ti posso anche capire per tutta una serie di ragioni pratiche (a volte l'ho pensato anche io); tuttavia l'approccio medico rischia di essere insufficiente di fronte alla varietá delle problematiche umane.
Certo, conosco medici ottimi che hanno fatto una scuola di specializzazione in psicoterapia e sono ottimi psicoterapeuti; conosco peró anche psicologi ottimi che sono allo stesso tempo ottimi psicoterapeuti. Il segreto sta anche nel non voler fare i tuttologi: io, per esempio, non mi sentirei, da psicologa semplice, di fare diagnosi di dislessia e trattarla. Non me la sento perché vedo che la formazione di base dei 4 anni é troppo carente in questo, c'e' gente peró che dopo fa un master di due anni su questi temi. Credo che sia importante un briciolo di umiltá che, devo dire, spesso vedo poco tra i colleghi futuri psicologi (se l'assistente sociale ha il complesso di Cenerentola, lo psicologo secondo me ce l'ha di Lorenzo il Magnifico :mrgreen: ).
Peró la base delle scuole di psicoterapia, per lo meno degli indirizzi umanisti, é il lavoro su se stessi e non la farmacologia. Anche in questo caso il fatto che gli assistenti sociali non possano é un'anomalia tutta italiana, nel resto d'Europa e del mondo dí che possono e nessuno si scandalizza (la formazione seria dura almeno 4 anni e richiede molte ore di terapia personale).
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Re: due questioni....

Messaggio da Mrc Brz »

perdonami, che significa formazione dei 4 anni? psicologia è 3+2
pallaspina
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Re: due questioni....

Messaggio da pallaspina »

Perdonami, in Spagna é diverso: 4 anni a ciclo unico (sia psicologia che servizio sociale) ed é fortemente richiesto un ulteriore master biennale per specializzarsi, per esempio per fare lo psicologo clinico sia nel pubblico che nel privato.
Spesso dimentico che mi baso su un contesto "altro" (anche se generalmente lo specifico)
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